“Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me” (Mc 7, 6.). Ricollegandosi al profeta Isaia, Gesù intende così stigmatizzare l’atteggiamento dei farisei del suo tempo che erano scrupolosi nell’osservanza di alcune pratiche esteriori di igiene mentre trascuravano di esaminarsi su quelle dinamiche del cuore che producono disastri all’esterno. Per questo aggiungeva: “Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro. E diceva ai suoi discepoli: Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adulteri, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive escono fuori dall’interno e rendono l’uomo impuro”.
In un suo quaresimale S. Antonio applica alla vita del clero e dei prelati della Chiesa questa forma di ipocrisia, contestando con sarcasmo il loro affaccendarsi in questioni che non li riguardano: “Oggi non ci sono mercati, non si fanno adunanze civili o ecclesiastiche, nella quali non si trovino monaci e religiosi. Comprano e rivendono, ‘fanno e disfanno’, cambiano ‘in rotondo ciò che è quadrato’ (Orazio, Epistole). Nelle cause convocano le parti, litigano davanti ai giudici, assoldano legisti e avvocati, trovano testimoni pronti a giurare insieme ad essi per cose effimere, frivole e vane”. Che cosa dice a noi l’appello del Maestro e la lettura che ne fa Sant’Antonio, dietro il quale abbiamo camminato per le vie della Città, lasciandoci illuminare dalla luce dei ceri che simboleggiano la fede, che è la prima grazia da chiedere per ciascuno di noi?
Anzitutto, ci offre una persuasione di ordine sociale prima che individuale: la distorsione che Gesù denunciava di dare più importanza alla pulizia esteriore che alla purezza del cuore, si riproduce oggi su scala mondiale. Ci si preoccupa moltissimo dell’inquinamento esteriore e fisico dell’atmosfera, delle acque, del buco dell’ozono, invece silenzio quasi assoluto sull’inquinamento interiore e morale. La prima preoccupazione è sacrosanta, ma non deve essere sganciata dalla seconda. Non c’è contrapposizione tra i due tipi di inquinamento. Sono, invece, le due facce della stessa medaglia.
La lotta all’inquinamento fisico è un segno di civiltà, oltre che una necessità, e richiede insieme una ecologia del cuore. Bisogna cioè accorgersi delle pulsioni che covano dentro di noi e che sono l’invidia, l’arrivismo, l’arraffare. Dunque: cura interiore e cura esteriore, dentro e fuori perché tutto è connesso! Se abbiamo perduto l’incanto del mondo e lo abbiamo depredato è perché abbiamo perso la visione semplice e pulita di san Francesco e di sant’Antonio. La crisi economica che purtroppo non passa è l’effetto e non la causa di un’altra crisi: quella del cuore che è diventato stanco, anestetizzato e come ripiegato su di sé. E’ come se fosse diventato vecchio e ansimante. E, quel che è peggio, chi ha poco futuro decide su chi ha più futuro. Così spesso sono i vecchi che decidono sul destino dei giovani. Con il rischio di passare da una delusione all’altra, se i cuori non ringiovaniscono, grazie all’apporto di giovani che non se ne stanno pigri e rassegnati.
Bisogna rimettere in movimento il cuore. E’ questa la seconda conclusione da trarre al più presto. Il cuore deve riprendere a pompare sangue e, dunque, a far camminare. Esattamente come abbiamo fatto tutti insieme questa sera. Camminare è il gesto più comune e quindi più umano. Camminare dà ritmo ai pensieri al punto che si pensa meglio a piedi. Perché ci si dà il tempo di lasciarsi stupire, di accogliere un incontro, di permettere che l’attenzione venga catturata da un dettaglio luminoso. “Tutti i grandi pensieri sono concepiti mentre si cammina”, ha scritto Nietzsche.
E quando si cammina qualcosa cambia. La vera casa dell’uomo non è una casa, è la strada perché questa ci mette in relazione con noi stessi: “Camminare è, ad ogni passo, un incontro con noi stessi”, ha scritto il poeta Tagore. E poi è incontro con gli altri. Forse camminando da soli si arriverà prima, ma camminando insieme possiamo accompagnarci, sostenerci a vicenda e non perdere la strada. Sicuramente andremo più lenti, ma certamente più lontano. E camminando si arriva fino a Dio, riacquistando la nostra vera identità che è quella del pellegrino e non del turista. Il turista cammina con il navigatore tra le mani, il pellegrino si lascia stanare dalle sue sicurezze e si apre all’imprevisto, un passo nell’incertezza, un passo nella speranza. Di sicuro camminare e non ristagnare è la via giusta per crescere insieme: “Camminando si fa il cammino, e voltando indietro lo sguardo si vede il sentiero che mai si deve tornare a calpestare. viandante non c’è cammino, ma solamente scie nel mare…” (A. Machado).
Sant’Antonio è stato un pellegrino che si è lasciato guidare di volta in volta dalle ‘scie del mare’: come quando da Coimbra si è spinto fino in Africa e poi è stato dirottato in Sicilia e quindi in Romagna fino a Padova. Un camminatore inesausto e una voce profetica in un mondo in grande trasformazione che rischiava di perdere la bussola. Quale è il segreto di quest’uomo di Dio? L’invito a non sedersi, a non fermarsi, a non bloccarsi. E’ questo l’invito da raccogliere. Non lasciamoci bloccare dalle nostra paure e dalle nostre rimostranze. Riprendiamo insieme il cammino, ma lasciandoci smuovere dal di dentro perché la parole del Vangelo ci restituiscano alla nostra vera misura. In concreto: smettiamola di essere stanziali mentalmente, cioè ripetitivi, scontati, prevedibili e ridiventiamo pellegrini, cioè aperti al rischio, incuranti delle fatiche, centrati sul bene di tutti.
Sant’Antonio di sicuro ci precederà in questo nostro cammino!