“Porto nel mio corpo le stigmate di Gesù”, afferma Paolo alludendo al fatto di essere stato picchiato dai suoi avversari e di conservare le tracce fisiche dei colpi ricevuti. Anche san Francesco portava nel suo corpo i ‘segni’ della passione di Cristo, su cui aveva meditato nei suoi soggiorni solitari, incrociando nel silenzio il Crocefisso.
Si è molto discusso sulla storicità di questo fatto a causa delle diverse versioni offerte, ma non è possibile mettere in dubbio un dato: il corpo di san Francesco presentava tracce non solo delle sue penitenze corporali, ma anche di una straordinaria esperienza nella fase finale della sua vita.
Ciò che conta però non è fermarsi all’aspetto straordinario, come san Bonaventura che vi vede una sorta di ‘sigillo’ in cera lacca che conferma la bontà dell’Ordine francescano, quanto concentrarsi sul senso di questa trasposizione delle ferite di Cristo nel corpo del Santo. Più che la conferma del fatto che Francesco è diventato alter Christus, le stigmate appaiono come l’esito di una singolare esperienza di Dio. Per la quale “lo spirito si è rivelato nella carne”. Le stimmate, insomma, oltre ad essere un ‘segno’ dell’amore ardente di Francesco per Gesù sono pure una prova della concretezza dell’amore che non è mai una sentimento di vaga compassione. Ma sempre una prova di pazienza e di vicinanza, anche quando nel caso dei lebbrosi si è presi da una istintiva repulsione.
Il rischio oggi della nostra fede non è solo quello di estinguersi, ma di essere confinata in una zona franca che non tocca le questioni vitali e si accontenta di un generico sentimento che lascia intatte le condizioni concrete, dentro e fuori di noi. In queste ultime settimane proprio in questo quartiere di san Francesco a Rieti ci sono state polemiche a proposito della presenza di immigrati che disturbavano la quiete pubblica. Nessuno sottovaluta l’impatto che queste nuove presenze possono produrre. Ma non possiamo accontentarci di veder garantita la sicurezza, chiudendo gli occhi su un fenomeno che è sotto gli occhi di tutti.
“Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro”, dice il Maestro. Come ad ammonirci che le sue ‘piaghe’ oggi sono le situazioni che vanno affrontate con realismo e senso della misura, ma senza girare le spalle ai ‘poveri cristi’ che vediamo vagare in Città. E’ importante fare la nostra parte non solo con la Caritas e la mensa di santa Chiara, ma anche ciascuno con un pensiero critico e non strumentale che dia prova di accoglienza.
Sapendo che tale fenomeno non è breve né transitorio, ma invita a rivedere il nostro modello di società. Cosa farebbe oggi san Francesco? Si limiterebbe ad inveire contro o costruirebbe spazi di fraternità? A noi spetta dare una risposta pronta e sostenibile perché “lo spirito si rivela nella carne”.