Che la crosta terrestre in Italia si muova continuamente sotto l’azione delle placche continentali africana ed euroasiatica, causando terremoti anche disastrosi, non è cosa nuova. Ma riuscire a individuare la posizione e l’entità dei movimenti legati ad una singola faglia lunga pochi chilometri che si rompe durante un terremoto, è un risultato di particolare significato per migliorare le conoscenze sulla pericolosità sismica di una regione.
La deformazione permanente della crosta terrestre causata dal terremoto di magnitudo 6 che ha colpito la zona dell’Appennino tra Norcia e Amatrice lo scorso 24 agosto è stata misurata, oltre che dai satelliti con le tecniche radar, anche da stazioni GPS (Global Positioning System) collocate a terra in un’ampia regione dell’Italia centrale. Tali stazioni appartengono alla Rete Integrata Nazionale GPS dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), all’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) e al Dipartimento della Protezione Civile (DPC).
Sono inoltre presenti caposaldi di reti GPS non permanenti, come la CA-GeoNet dell’INGV e l’IGM95 dell’Istituto Geografico Militare. Altri dati GPS sono stati forniti dalle reti GNSS (Global Navigation Satellite System) della Regione Abruzzo, Regione Lazio, ItalPos, NetGeo, Regione Umbria, ASI ed Euref.
Le stazioni acquisiscono continuamente dati sulla loro posizione grazie ai segnali radio inviati dalla costellazione di satelliti USA in orbita intorno alla terra 24 ore al giorno da oltre 20 anni (GPS). Gli spostamenti del suolo registrati in ciascuna stazione sono stati calcolati dall’INGV, analizzando i dati con differenti software scientifici (in particolare Bernese, Gamit e Gipsy) e successivamente combinati per fornire un unico risultato finale.
Gli spostamenti sono stati calcolati come differenza tra le posizioni giornaliere delle stazioni nei giorni precedenti e successivi al terremoto. In questo modo sono stati ottenuti gli spostamenti massimi registrati nelle singole stazioni, compresa quella posta ad Amatrice che è la più vicina all’epicentro della scossa del 24 agosto, con un errore massimo di pochi millimetri.
Le analisi preliminari basate sulle sole stazioni GPS attive al momento del terremoto mostrano che questo è stato generato da una faglia lunga oltre 18 km e inclinata di circa 50 gradi, che corre con direzione nord-nordovest – sud-sudest e che si immerge verso ovest al di sotto dell’Appennino. Il movimento di questa faglia ha causato un’estensione della catena appenninica di circa 3-4 centimetri tra il Tirreno e l’Adriatico.
I dati GPS acquisiti durante il terremoto del 24 agosto, come in occasione degli ultimi più forti terremoti italiani (Umbria-Marche nel 1997, Molise nel 2002 e L’Aquila nel 2009), permetteranno di comprendere sempre meglio l’evoluzione spazio-temporale delle deformazioni del suolo misurabili in superficie, in fase cosismica e inter-sismica, in vicinanza di faglie capaci di generare forti terremoti. L’analisi congiunta dei dati GPS con dati spaziali InSAR, permetterà nei prossimi giorni di fornire un quadro originale e dettagliato delle deformazioni del suolo e delle caratteristiche della faglia, contribuendo a disegnare con sempre maggiore dettaglio il livello di pericolosità sismica dell’Appennino.