Vi sono innumerevoli disagi per i pendolari reatini che tutti i giorni sono costretti a recarsi a Roma per lavoro. Un cantiere infinito di lavori in carreggiata sud della Salaria provoca quotidianamente ritardi per gli autobus Cotral, quantificabili in almeno 45 minuti al giorno per i pendolari che sono costretti ad usare gli autobus diretti tra Rieti e Roma.
Al contempo, l’amministrazione Raggi ha deciso, inopinatamente, di provvedere allo sfalcio dell’erba sulla stessa via Salaria nei mesi invernali, acuendo ulteriormente i già pesanti ritardi. In un quadro a tinte fosche come quello appena descritto, si aggiunge l’incertezza degli arrivi e delle partenze per i pendolari che si avvalgono della ferrovia di Fara Sabina e dei serivizi della FL1. Su questo, grida ancora vendetta la unilaterale e scellerata decisione di Cotral, di cancellare tout-court, a partire dall’8 giugno del 2018, le 56 corse AR che collegavano il capoluogo sabino con la stazione di Fara Sabina.
A parte qualche timidissima voce solitaria di esponenti della politica, sembra che a Rieti si dorma il sonno degli ingiusti. Eppure, non serve un genio per capire che il ripristino perlomeno della metà delle 56 corse che erano attive fino all’8 giugno dell’anno scorso potrebbe lenire il disagio dei pendolari che, loro malgrado, sono costretti ad andare al lavoro nella capitale quotidianamente. Nonché il ripristino delle corse dirette, senza passaggi per l’autostazione di Fara, accelererebbe, in condizioni normali, i tempi di percorrenza, così come avveniva fino all’8 giugno scorso.
Ci auguriamo che aldilà della retorica dei convegni che reiterano quasi settimanalmente la necessità di nuove infrastrutture per il territorio (sarebbe già importante concludere quelle bloccate da tempo come la Rieti Torano o la Rieti Terni), qualcuno si ricordi che Rieti non può essere ostaggio delle logiche del monopolio dell’unico operatore di trasporti su gomma, o peggio ancora di un rivendicazionismo sindacale deteriore, che allontana inesorabilmente 3.000 pendolari reatini dalla capitale.
Giuseppe Gizzi