Santa messa in ricordo delle vittime del terremoto 2016, Vescovo Piccinonna: “Vedrete il Cielo aperto!”

FOTO: Chiesa di Rieti

“Carissimi, vi confesso che soprattutto in giornate come questa avverto la necessità del silenzio. È una sensazione che mi attraversa spesso quando incontro la gente di questi luoghi, mentre i volti di alcuni famigliari che hanno perso una o più persone care diventano famigliare anche a me, mentre ascolto e tocco con mano la fatica di chi non vede ancora quanto promesso e sperato. È un silenzio di rispetto, anzitutto per chi non c’è più. Ma pure per i famigliari e per chi continua a vivere qui o col desiderio di ritornarci.

Eppure questa celebrazione eucaristica è per tutti quanti noi, ogni anno, uno spazio e un tempo che cogliamo come possibilità di affidamento dei nostri cari e anche per chi continua a vivere e a sperare nonostante la morte e la disperazione. Sentiamo la necessità di ricordarli i nostri cari, di non dimenticarli e-per chi crede-di affidarli al Signore sapendoli già nel Suo abbraccio paterno e materno.
A distanza di otto anni non sono cancellate le domande, anzi! Perché Signore? è la domanda che pure chi crede di credere pone alla vita, a Dio, talvolta anche senza più parole e senza più lacrime (e non perché il dolore sia finito…).

Oggi è il tempo della preghiera, che può accompagnare il cammino di ciascuno e di tutti. Ma non si tratta di una preghiera facile. Mai è facile la vera preghiera, specie se fa eco alle parole di Gesù nel Getsemani e poi sulla croce “Mio Dio, Mio Dio, perché mi hai abbandonato?”(Mc. 15,34). Le ha dette Gesù! Lui, il Figlio dell’uomo, il Dio che viene sorprendemente da una oscura borgata della Galilea, da Nazareth, che ha abitato la nostra umanità, condividendola in tutto, fin lì dove nessun uomo vorrebbe arrivare, nella sofferenza e nella morte…

Ma quale preghiera siamo venuti a vivere qui oggi? Non certo una panacea ma quella che emerge dal vangelo poc’anzi ascoltato, dentro una promessa che Gesù ha fatto ai suoi discepoli, anche quando tutto sembrava enigmatico e contraddittorio. A Bartolomeo Gesù dice: Vedrete il cielo aperto (Gv. 1,51) . Sì, cari amici, la preghiera che osiamo far nostra è quella che aspira a tenere il cielo aperto perché Dio non è muto e sordo dinanzi alle nostre biografie seppur stritolate dal dolore della morte e dalla fatica nel vedere nascere e ri-nascere qualcosa di nuovo che venga a prendere il posto delle macerie interiori ed esteriori.

Dalla preghiera che osa vedere i cieli aperti, che vuole una speranza più forte della morte, che è capace di sperare contro ogni speranza, da una preghiera pasquale sgorga la responsabilità di coltivare questa speranza, la determinazione di tenerla desta nel modo più maturo di cui tutti possiamo essere capaci, di non farle del male, di rispettarla, concretizzando quelle risposte che non possono essere più rimandate.

I cieli aperti implicano per noi tutti la responsabilità di mettercela tutta, ciascuno per la sua parte, di voler fare bene il bene, di imparare a convergere tutti per l’obiettivo comune, di non risparmiarci e anche di non far prevalere istinti e logiche che fanno solo male a ciascuno e alla collettività, specie a chi qui ci abita ogni giorno dell’anno e non solo il 24 agosto.

Manteniamo fermo l’intento di essere e fare comunità, una comunità che non permette alla disperazione di prevalere, nonostante tutto. Ce lo chiedono i nostri cari, come pure questi nostri territori e quanti li abitano, desiderosi di vedere il cielo finalmente aperto!