I numeri non bastano a raccontare la realtà. Il pensiero viene osservando la logica che sembra muovere il Governo nel riordino del sistema sanitario. Una operazione che sembra destinata a compromettere in modo sostanziale i servizi alla salute del Reatino.
Il dettaglio delle dinamiche in atto lo spiega bene la condivisibile nota diffusa dal comitato di associazioni, operatori e cittadini che si è riunita lo scorso 6 agosto per fare il punto e cercare contromisure.
La sostanza è che il de’ Lellis sarebbe destinato ad essere classificato come ospedale di primo livello. Il nome può trarre in inganno, ma vuol dire che potrebbe finire tra i fanalini di coda del sistema sanitario regionale.
Il tutto perché l’ospedale provinciale di Rieti serve “appena” 160.000 persone. Più o meno come un quartiere di Roma – dirà qualcuno – ed ha ragione. Ma andrebbe pure considerato che questi quattro gatti del Reatino sono dispersi su una superficie ben più ampia e assai meno attrezzata di una frazione della Capitale.
È un fattore talmente evidente, facile, scontato, che ci si sente quasi in imbarazzo a doverlo sottolineare. Eppure finora non sembrava essere stato preso nella giusta considerazione. Di conseguenza accogliamo con soddisfazione la nota con cui la Regione Lazio rassicura la cittadinanza sull’immediato futuro dei presidi sanitari del Reatino.
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” spiega la Costituzione all’articolo 32. È un principio enorme, ma non lo comprendiamo appieno senza tenere presente l’articolo 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale”. Un dettato rispettato solo se effettivamente tutti sono ragionevolmente trattati allo stesso modo, sotto qualsiasi profilo. Non è solo una regola morale, bella ma astratta: deve prendere forma nell’accesso ai servizi, nel modo in cui vengono erogate le prestazioni.
Costringere una popolazione – molto spesso anziana – a percorre troppa strada per avere quello che ad altri è garantito sotto casa avrebbe avuto tutto l’aspetto dell’ingiustizia e della discriminazione.
E l’eventuale demolizione di fatto dell’unico ospedale provinciale, con la chiusura di reparti che negli anni sono arrivati a livelli di eccellenza, avrebbe aggiunto alla faccenda il sapore dell’involuzione, del regresso, del fallimento. Come pure ogni ulteriore indebolimento dei presidi di Amatrice o di Magliano.
Un esito che per fortuna la Regione dice di voler evitare. Ma non per questo viene meno l’invito della Chiesa di Rieti all’unità e al dialogo sia alle forze sociali e alle associazioni che alle rappresentanze istituzionali. Con la buona volontà si possono trovare soluzioni giuste. Ciascuno, secondo le proprie possibilità e responsabilità, può contribuire a far progredire la società nel suo insieme, anche in questo grave momento di difficoltà. Ma per conseguire questo risultato è necessario tenere a fondamento di ogni scelta i problemi umani nel loro complesso, e non la loro banale riduzione ad un gioco di numeri.
È ormai evidente che nell’affidarsi ai tecnicismi con troppa faciloneria si apre la strada alla sperequazione, alla separazione e all’esclusione. Il valore delle persone e delle comunità non può essere ricondotto ad un semplice fatto algebrico. Chi viene chiamato ad amministrare la cosa pubblica, deve certamente fare i conti con le risorse, ma non per questo può smettere di prestare attenzione ad ogni altro aspetto della società.