“A volte perdere l’equilibrio ti aiuta a trovarlo”. Il secondo ospite intervenuto al Meeting dei Giovani di Leonessa è Arturo Mariani, ventiduenne di Guidonia, scrittore, studente, viaggiatore, calciatore. E’ un calciatore atipico Arturo, un calciatore con una gamba sola, mutilazione con la quale è nato.
“Dall’ecografia non si vedeva la mia gamba, e lì è nata la prima vera sfida, quella dei miei genitori, che dovettero decidere se tenere un figlio imperfetto oppure no”. A 2 anni la prima protesi, legata ad un busto, in mancanza di un moncone a cui legarla: “mi dava dolori atroci”.
Ma l’Ora del dolore più grande per Arturo è stata quella legata agli sguardi delle persone, agli occhi che discriminavano un’imperfezione così visibile: “avevo paura di camminare per strada, in chiesa avevo paura ad alzarmi per fare la comunione, avevo paura a provarci con una ragazza, perché non potevo prenderla per mano”.
Non riusciva a pensare ad altro Arturo: “perché proprio a me? Perché io?” Poi, la voglia di farcela, l’Ora del coraggio, della passione che ti matura dentro e ti aiuta a farcela, ad andare avanti, semplicemente perché non hai altra scelta.
Un momento che è passato attraverso la tecnologia, attraverso un video visto sul web di calciatori africani con le stampelle: è da quel video che Arturo parte alla ricerca sul web di “quelli come lui”, per sfidarli alla pari, giocando a calcio con una gamba sola, inseguendo un sogno.
Un sogno che si materializza nel contatto su facebook con un ragazzino di 11 anni, mutilato ad una gamba anch’esso. E’quella l’Ora che gli ha cambiato la vita, portandolo a giocare con la stampelle in una Nazionale di calcio, davanti a stadi pieni.
Momenti di commozione palpabile quando al dibattito di Leonessa interviene la madre, seduta tra il pubblico, che racconta “quel” momento: quello tragico in cui le comunicarono l’esito dell’ecografia, e quello immediatamente successivo in cui rafforzò l’idea di non stroncare gli albori di quella vita che le cresceva in grembo.
I ragazzi partecipi, in un silenzio attento ed emozionato, ascoltano il percorso emotivo tramite il quale Arturo ha vinto la paura degli sguardi, delle derisioni, delle discriminazioni: “avere paura fa abbandonare i sogni, ti blocca la vita, così finisce che non concludi nulla: invece bisogna imparare a non vedere il cielo sempre nero, ma a scorgere la luce cercandola nelle cose semplici, negli occhi di chi ti ama”.
Il momento più brutto? L’adolescenza, quando ti metti a nudo, quando ti fai domande e non ti senti libero a causa della tua disabilità, e ti disperi. Poi, d’un tratto, la svolta. Arturo va in primo superiore senza protesi, per accettarsi e farsi accettare così com’è, e in quel momento comprende che la sua protesi “non era solo materiale, ma anche mentale”.