Chi di noi non è mai andato al Camposcuola. Chi di noi non ha mai fatto una campestre o i 60. Chi di noi non è entrato nella pista di atletica e si è sentito per un attimo un campione. Chi di noi arrivato in viale dello Sport non ha mai sentito la voce inconfondibile al microfono del Guidobaldi: “Gino… Mario… Ercole quegli ostacoli li togliamo”.
Perché Andrea Milardi era questo. Era il Camposcuola, ma soprattutto faceva sentire tutti campioni. Perché nel suo pensiero di Maestro ognuno aveva la sua specialità e cosi chi era grosso poteva lanciare il giavellotto, il disco o gettare il peso, chi era di media corporatura aveva nel mezzofondo il suo futuro, chi era “smilzo” (un fascio di nervi) doveva fare la velocità o il lungo e gli “spillungoni” erano destinati all’alto.
Andrea aveva un’idea: NON CHE LO SPORT SIA DI TUTTI, MA CHE LO SPORT E’ PER TUTTI.
La sua casa, il Camposcuola, era aperto a chiunque, bastava avere una tuta e le scarpette. Ha visto crescere tante generazioni e ha creato uno spazio pulito, dove il secondo non era il primo degli ultimi ma quello che si doveva impegnare perché la gara successiva poteva vincere e l’ultimo doveva essere contento perché era arrivato alla fine della gara, non si era ritirato. Quella era la sua vittoria. Invece il vincitore/vincitrice si beccava il “cazziatone” per non aver alzato le gambe o messo bene le braccia. Era cosi.
Che dolore sarà non incontrarlo più?
Cecilia, Maria Vittoria, Maria Chiara ed Alberto sono certo che continueranno la sua vita PER LO SPORT e a mantenere sempre aperta quella casa. C’è da prendere i tempi al Don Bosco, ai Cinque cerchi, alla classe veloce.
A sorridere.
Soprattutto ad abbracciare tutti.
Come faceva Andrea.
Di Giuseppe Caiazza