Massimo Rinaldi nacque a Rieti il 24 settembre 1869, terzo di quattro figli, dai coniugi Giuseppe e Barbara Marinelli; all’età di circa quattro anni rimase orfano di madre. Studiò nel seminario di Rieti alla scuola del teologo Luigi Flavoni e dello zio paterno mons. Domenico Rinaldi, il quale attingeva il suo insegnamento alla tradizione culturale dei famosi giuristi, il canonico Carlo Latini e il cardinale Giuseppe D’Annibale.
Fu consacrato sacerdote, dal vescovo di Rieti.Carlo Bertuzzi, il 16 luglio 1893; fece le prime esperienze pastorali nelle parrocchie di Ornaro e di Greccio; dal 1897 al 1900 fu segretario e amministratore dello zio Domenico Rinaldi, divenuto vescovo di Montefiascone. Massimo Rinaldi venne a conoscenza dell’Opera dei Missionari di S.Carlo per gli emigrati italiani in America, fondata dal vescovo di Piacenza Giovanni Battista Scalabrini; comprese che quella era l’opera giusta per realizzare la sua vocazione, accanto ai poveri e agli emarginati; lasciò la curia vescovile di Montefiascone, senza preavvertire lo zio, che informò solo per lettera, e, dopo circa un mese di permanenza a Piacenza, il 5 novembre 1900, salpò da Genova, per il Brasile, come umile scalabriniano; il 20 dicembre era ad Encantado, nel Rio Grande do Sul, per la celebrazione del Natale.
Iniziò il suo apostolato tra i coloni italiani, guidato dagli.insegnamenti dello Scalabrini; si.prodigò nell’aiutare anche le popolazioni del.luogo; raggiungeva a piedi o a dorso di cavallo le più sperdute colonie dove trasformò i tuguri.in cappelle; ricondusse gli uomini a Dio e li aiutò a comprendere il vero fine della.vita, attraverso la salvezza spirituale, corporale ed economica.
Nel 1904, ricevette la visita del fondatore che lo nominò superiore provinciale. Tornò in Italia, nel 1910, per il Capitolo generale della sua congregazione; venne eletto, all’unanimità di voti, procuratore ed economo generale; operò a Roma fino al 1924, ricoprendo anche l’ufficio di vicario generale; costruì la casa generaliziadegli Scalabriniani,a via Calandrelli.
Il papa Pio XI, con bolla del 2 agosto 1924, lo nominò vescovo di Rieti, in un momento difficile per la sopravvivenza stessa dell’Opera scalabriniana; fu consacrato vescovo nella cattedrale basilica di Rieti, il 19 marzo 1925, dal cardinale Raffaele Merry del Val Massimo Rinaldi continuò a tenere, anche da vescovo, una prudente e ramificata corrispondenza epistolare con i singoli Scalabriniani, sulla situazione dell’Istituto, di cui si sentiva ancora membro attivo, al fine di conservarne il carisma originario per il quale aveva speso la vita.
Egli, da documenti d’archivio, risulta, storicamente, il secondo fondatore morale, spirituale e operativo sia dei Missionari di S.Carlo, gli Scalabriniani, sia delle Missionarie di S.Carlo, le Scalabriniane.
Il Rinaldi aveva compreso ed amato in profondità il.carisma e le finalità volute dal genio di Giovanni Battista Scalabrini, tanto da costituirne il più convinto continuatore, in una fedeltà dinamica.
Massimo Rinaldi morì a Roma, nella casa generalizia degli Scalabriniani, il 31 maggio 1941. Il cardinale Raffaello Carlo Rossi indirizzò agli Scalabriniani, di cui era superiore generale, una lettera, per commemorare il vescovo scalabriniano Rinaldi, nella quale dichiarava: "Oggi, all’approssimarsi del Trigesimo dell’avvenuto passaggio, io intendo soltanto ricordarvi il vostro venerato ed illustre Confratello che, come Gesù Signore, volle passare benefacendo".
Completiamo con i seguenti brani dell’omelia che il cardinale Josè Saraiva Martins pronunciò, nella cattedrale basilica di Santa Maria di Rieti, in occasione del 60° della morte del Servo di Dio, il 31 maggio 2001. "Mi compiaccio vivamente con la Diocesi di Rieti che, ininterrottamente, sottolinea tappe e ricorrenze significative della straordinaria vita del Suo indimenticato Vescovo Mons.Massimo Rinaldi".
Il merito va riconosciuto anche a chi coltiva, e mantiene in onore, la memoria del Vescovo reatino, applicando con diligenza l’esortazione biblica del: "Mementote praepositorum vestrorum" (Eb. 13,7), (Ricordatevi dei vostri capi i quali vi hanno annunziato la Parola di Dio).
L’odierna circostanza ricorda il 60° anniversario della morte del Servo di Dio […]. Il servo di Dio Cardinale Raffaello Carlo Rossi, di cui pure è in corso la causa di beatificazione, indirizzava ai Missionari Scalabriniani la seguente lettera, per commemorare il Rinaldi: "La Sua opera missionaria in Brasile, il Suo zelo nell’esercizio del ministero sacerdotale in Roma, la Sua completa dedizione per il Suo popolo, e specialmente per i più bisognosi e sofferenti della Sua Diocesi, non potranno dimenticarsi.
Trascurò se stesso – completamente -, fu tutto per gli altri, per le anime e per il sollievo delle miserie umane. L’amato Vescovo di Rieti fu accompagnato dalla fama di santità in vita, in morte e dopo la morte, tanto che, come voi ben sapete, il 25 gennaio 1991, fu aperto il processo diocesano per la beatificazione del Servo di Dio, ora in studio presso il Dicastero delle Cause dei Santi che ne ha riconosciuto la validità il 20 novembre 1998.
È stata promossa un’indagine interessante, tra il dicembre 1999 ed il gennaio 2000, dal quotidiano "Il Messaggero", per conoscere, fra i lettori del giornale, quale personaggio reatino ritenessero il più importante del secolo XX, per essere proclamato "Reatino del secolo".
L’esito è oltremodo lusinghiero per Massimo Rinaldi, classificato al primo posto, con migliaia di voti. Guardando al composito mosaico della Sua vita non si fatica a rintracciare il filo d’oro che tutto unisce: lo zelo apostolico di cui fu fulgido esempio, facendo della Sua vita un altare e del Suo ministero pastorale una cattedra.
Nei suoi oltre 16 anni di episcopato reatino, il Vescovo Massimo si pose – e si manifesta, oggi, all’indagine storica -, come la gemma del clero reatino e il Vescovo emergente della diocesi di Rieti di tutti i tempi Benedetto Riposati, famoso latinista dell’Università Cattolica di Milano, formato dal Rinaldi all’impegno nello studio e all’apostolato sacerdotale, scrisse di lui: "Gli umili, i poveri e gli onesti furono sempre le pecorelle predilette del suo cuore di ‘Buon Pastore’.
Le andò a cercare prima, missionario senza nome, nelle più lontane lande d’America, poi, Vescovo senza riposo, nelle più impervie regioni della nostra Diocesi, ascendendo monti, attraversando vallate e boschi, sempre a piedi, quasi sempre solo ed orante, spesso stanco ed affamato, ma gioioso nell’anima, come un S.Francesco redivivo, soddisfatto di aver compiuta, come egli diceva, ‘una. parte del suo dovere’ tra i suoi figli prediletti" 2. L’ansia dell’apostolo fu sempre presente nel suo cuore e lo consumava con il desiderio di abbracciare, con il proprio palpito, il mondo intero.
La pastorale del Vescovo Massimo era già, ampiamente, in linea con la prospettiva della santità, che il Papa, nella Novo Millennio Ineunte definisce "la misura alta della vita cristiana ordinaria" (n. 31). Egli si era proposto, fin dalla giovinezza, in verità, un ideale di grande santità e ad esso orientò, con grande coraggio ed impegno il meglio di sé.
Il grande filosofo e pensatore cristiano Jacques Maritain, ha una riflessione che ben si addice a Mons. Rinaldi: "Un tempo bastavano cinque prove per l’esistenza di Dio (si pensi a quelle celebri di S. Tommaso), oggi sono insufficienti, e ce ne vuole una sesta, la più completa, la più autorevole: la vita di coloro che credono in Dio". La vita del Servo di Dio è non solo una prova che Dio esiste, ma anche che Dio ama e non si stanca mai di farlo, con cuore di uomo. Oggi celebriamo con la Chiesa questa bella festa della Visitazione di Maria, prova concreta di come la Grazia di Cristo, fin dai suoi albori, si coniuga con la carità dei fatti, come quella della Madonna con la cugina Elisabetta.
Il Vangelo dell’odierna liturgia ce lo ha fatto meditare. Il Padre Massimo, quand’era ancora missionario in Brasile, scriveva al fratello: "Per essere santi, bisogna essere devoti della Madonna, anzi figli suoi". Qualcuno ha usato una suggestiva immagine: "La Sua vita è stata un Rosario ininterrotto.
Il Servo di Dio ha detto più Rosari di quante volte abbia mangiato.
Aveva sempre la corona in pugno, la recitava per strada, a cavallo, mentre lavorava nell’orto" (Vescovo Scalabriniano Marco Caliaro)".
a cura di Giovanni Maceroni e Anna Maria Tassi