«La greppia e il fieno sono lo spazio del mistero: niente di più, niente di meno. La vista si concentra su questo spazio disadorno, e perfino maleodorante. La mangiatoia, senza scomodare la psicanalisi, è qualcosa di più profondo, rimanda al grembo della vita, il fieno rimanda al grano, dunque all’essenziale. Sembra niente, ma è ciò che è necessario ritrovare: la distinzione tra ciò che è necessario e ciò che è superfluo, accessorio».
Così, durante la Messa nella notte di Natale, celebrata a Greccio, il vescovo Domenico ha introdotto i presenti al messaggio di Francesco e al senso profondo della Natività.
«Noi siamo abitualmente stregati dal superfluo – ha spiegato mons Pompili – mentre perdiamo di vista ciò che è veramente necessario. E cosa è necessario guardando a una mangiatoia e al fieno? È necessario ricordare che la vita è un dono straniante per la quale sempre e continuamente meravigliarci ogni giorno che spunta. Ci voleva un terremoto per ricordarsi che l’esistenza, la vita che ci è data, è talmente straordinaria che ogni giorno occorrerebbe ritrovarla con lo stupore di chi grato sa che ci è data una possibilità che non torna, che non passa».
E allora la paglia – segno del pane, e dunque dell’eucaristia – ci ricorda «che non siamo mai soli, ma siamo sempre interdipendenti. Noi rischiamo di crederci indipendenti, di poter bastare a noi stessi. Qualche volta ci sentiamo dipendenti, cioè schiavi. Ma siamo interdipendenti: abbiamo un legame che ci porta a sentire che non siamo mai veramente isolati, perché quando si sta da soli qualsiasi problema diventa ciclopico, quando siamo uniti qualsiasi difficoltà può essere attraversata».
Quanto all’asino e al bue, invece, c’è da comprende come essi «sanno a chi appartenere» mentre gli uomini sembrano avere perso il senso dell’origine e del destino. «Soprattutto oggi, mentre Dio sembra essere completamente scomparso dall’orizzonte, si fa strada insistente spesso anche tra i più giovani l’idea che si possa essere figli del caso, della sfortuna. Questo è il punto: se siamo figli del caos o del cosmo, della sfortuna o di Dio».
«Di fronte alla natività e al presepe che qui Francesco ha intuito – ha concluso don Domenico – non ci resta che inginocchiarci. Non c’è da polemizzare, né da creare false forme di contrapposizione. C’è solo da inginocchiarsi davanti al bambino. Infatti, nel Cristo Dio diventa un volto e l’uomo, a sua volta, conosce il suo. Per questo a Natale è festa, per questo continuiamo a scambiarci gli auguri».