(Gl 2, 12-18; Sl 50; 2 Cor 5,20-6,2; Mt 6,1-6.16-18)
“Chi sa che non cambi e si ravveda e lasci dietro a sé una benedizione?”. Il profeta Gioele vive sulla sua pelle il dramma del popolo disperso. Ciò nonostante, proclama che Dio è capace addirittura di “convertirsi”, cioè di cambiare in benedizione la distruzione che aveva progettato di mandare sugli uomini.
In realtà, la distruzione più insidiosa che è la guerra non è mai voluta da Dio, ma è sempre il frutto delle scelte degli uomini che si allontanano dalla ragione e dall’amore. E alla fine da Dio stesso. Per fortuna è Dio che “si converte” nell’umanità del suo Figlio; in Gesù di Nazareth si fa, addirittura, “peccato in nostro favore”, come appena ascoltato dall’audace testo dell’Apostolo Paolo.
Questo è il senso della fede cristiana. Ciò spiega anche l’invito di papa Francesco ad una giornata di preghiera e di digiuno per la Pace in Ucraina. Stando alle ultime notizie, la preghiera e il digiuno rispetto al dilagare della violenza, della distruzione e della morte sembrano perfettamente inutili. Eppure pregare e digiunare sono azioni efficaci per preparare la pace. Giacché non si può essere mai neutrali dinanzi alla guerra. Non basta essere pacifisti. Bisogna diventare “pacificatori”, cioè proattivi: fare qualcosa perché la situazione cambi.
Ma per cambiare da dove partire? Dalle parole che sentiremo risuonare sulla nostra testa: “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai”. Tutti sappiamo che dobbiamo morire. Si può dire che la cultura nasce proprio da questa consapevolezza che è unica tra i viventi. La fede stessa si sviluppa a partire da questa tragica domanda sulla vita. Oggi a Kiev e nelle città ucraine ci pensano le bombe di Putin a ricordare questa certezza. Ma in che senso la memoria di essere polvere aiuta a costruire la pace? Perché ci ricorda che tutto è destinato a volatilizzarsi sulle strade polverose della vita se manca l’intelligenza e la volontà. “Capire”, anzitutto, “con intelligenza” quel che sta accadendo al mondo, proteso verso un progresso inimmaginabile e sfibrato da ingiustizie vergognose che prefigurano scenari apocalittici.
“Cambiare”, poi, “con volontà” perché non basta l’intelligenza per entrare nella realtà se poi non avverte su di sé il dolore degli altri. La crisi della guerra con tutti i suoi orrori è arrivata nel cuore dell’Europa proprio quando sembrava di scorgere un po’ di luce dopo due anni di pandemia. È uno shock. Siamo abituati a una vita di benessere e di pace. Purtroppo, la nostra pace era pigra: ci siamo abituati a tal punto a questa pace che abbiamo dimenticato la gente che soffriva proprio accanto a noi.
“State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro”. Gesù stigmatizza l’ipocrisia di chi si accontenta dell’apparenza e scansa la vera lotta che è “più dura della guerra che si fanno gli uomini” (Rimbaud). E cioè, il combattimento interiore, contro di noi e non contro gli altri, che mette a nudo chi siamo e cosa vogliamo. È questo il combattimento “spirituale” che ci attende in vista della Pasqua. Perché la vita e la pace possano risorgere.