“Nel corso della storia, declino e scomparsa di alcune delle più ricche civiltà sono spesso stati causati da problemi ecologici, ovvero da quei danni irreversibili provocati alle risorse limitate da cui quelle stesse civiltà dipendevano. L’Isola di Pasqua, e la sua estinzione causata da un sovra-sfruttamento dell’ambiente, ne è un esempio famoso. Oggi il nostro pianeta non verte in una situazione troppo diversa: come possono gli uomini non curarsi dell’ascesa della civiltà cui appartengono e non correre ai ripari? Il problema non risiede nel taglio dell’ultimo albero o nell’inquinamento dell’ultima falda acquifera, ma nel superamento di una soglia critica. Ciò che sta succedendo in questi giorni in Amazzonia è un campanello d’allarme che dovrebbe far capire a tutti che quella soglia l’abbiamo già raggiunta, se non superata.
Come ci ha ricordato Suor Alessandra Smerilli durante il Forum delle nostre Comunità a luglio scorso, quella a cui stiamo assistendo è ciò che in economia viene chiamata la tragedia dei beni comuni: beni nati per essere condivisi che però oggi sono sfruttati a beneficio di pochi e il cui degrado rimane a scapito di tutti. In altre parole: le esternalità negative della deforestazione non interessano solo il Sud America, ma tutto il sistema Terra. Non è un tema di geopolitica locale ma di politica planetaria: l’Amazzonia non è polmone solo del Brasile e degli altri otto paesi pan-amazzonici, ma di ogni angolo del pianeta. Chi distrugge la foresta, quindi, commette un crimine verso l’intera umanità, pregiudicandone la stessa esistenza: senza arrivare a parlare dell’ossigeno, il clima (e non solo la crisi climatica) è fortemente influenzato dal biotipo Amazzonia. Alterarne la sua composizione significa alterare le perturbazioni sul pianeta e quindi diminuire le riserve di acqua dolce, necessaria per la sopravvivenza di tutti.
Ma da dove nasce questa crisi ambientale? È importante ricordarci che il più grave imputato è il nostro sistema economico, il consumismo sfrenato e l’atteggiamento predatorio che abbiamo nei confronti della natura. Se è della natura umana l’essere predatore, è altresì vero che nessun animale pregiudicherebbe la vita di altri animali così come fa l’homo sapiens sapiens. Così come ci insegna il neurobiologo Mancuso, è il considerarci migliori degli altri il peccato originale da cui doverci redimere. Da un punto di vista biologico, infatti, “essere meglio di” non significa nulla: noi siamo essere viventi come tutti gli altri e l’uomo ha bisogno di tutto il resto della comunità per poter sopravvivere, e del mondo vegetale in primis poiché prima sorgente di vita. Le popolazioni indigene hanno saputo preservare l’armonia dell’ecosistema amazzonico per secoli proprio perchè non si sono comportati da predatori ma da ospiti e custodi quell’ambiente circostante, sempre con un occhio verso le generazioni future.
E allora, mentre vediamo l’Amazzonia bruciare, l’indignazione e la rabbia non bastano più. La domanda che dobbiamo porci è: quanto siamo complici di tutto questo? Quando diamo la colpa a questa economia che uccide, non ci rendiamo conto che quell’economia non è altro da noi?
E se cominciassimo non solo a rivendicare, ma a praticare una maggiore autodeterminazione, su fronti solo in apparenza poco politici e poco eroici, quali la scelta di ciò che mangiamo, dei nostri acquisti per la casa, dell’uso dei nostri soldi?
Il futuro dell’Amazzonia è legato alla nostra capacità di cambiare le nostre scelte economiche quotidiane, nel nostro creare una nuova relazione tra esseri umani da un lato, e essere umani e risorse naturali dall’altro. Se non capiamo l’urgenza di un cambiamento delle nostre scelte, questa volta a bruciare ed estinguersi potrebbe essere l’intera civiltà, la nostra. Il tempo di agire è ora. Facciamolo insieme.”
Coordinamento Comunità Laudato sì