La reatina Beatrice Iacuitto vince il Premio Nazionale di Poesia "Marie Curie"

La poesia non vende, è cosa risaputa. Eppure c’è chi la scrive. E quando lo fa, lo fa così bene da emozionare chi si imbatte in quei versi. Quando poi a scrivere è una ragazza di diciassette anni c’è ancora da sperare in questo mondo. La poesia è molto più che belle parole legate insieme ad arte; è espressione dell’anima, è moto interiore. Ogni cosa della vita diventa fonte di ispirazione.
Beatrice Iacuitto, reatina iscritta al secondo Liceo Classico della Scuola Militare Pietro Teuliè di Milano, l’ispirazione ce l’avuta qualche giorno dopo il 24 agosto 2016, quando il terremoto ha distrutto la sua terra. Un evento doloroso, senza dubbio, che ha mosso i sentimenti di tutti.
In occasione del Premio Nazionale di Poesia bandito dal Liceo Scientifico-Classico-Linguistico “Marie Curie” di Meda (MB), alla sua terza edizione, avente come tema “ Quel che mi canta il cuore”, la studentessa ha concorso con la sua poesia “In morte di Amatrice” aggiudicandosi il primo posto.
Beatrice ha dimostrato non solo di avere una profonda e commovente vena poetica, ma anche di saper usare la lingua italiana in maniera eccellente. Motivo di grande orgoglio anche per noi reatini. La vincitrice verrà premiata sabato 17 maggio 2017 alle ore 16,30 presso il Liceo “Marie Curie” di Meda.
Il premio le è stato assegnato con la seguente motivazione: “Un canto accorato alla tragedia di Amatrice, in cui l’autrice si immedesima con toccante intensità espressiva fino al punto di desiderare amalgamarsi con la terra per divenire parte del suo mistero, in attesa del Tempo che donerà la grazia dell’oblio.”
Virginia Tomaselli
In morte di Amatrice
Ora danzano le anime
nel limpido etere divino.
Un boato le ha ghermite alla vita.
Il tempo le ha fermate
mentre intorno nulla era più fermo.
La terra ha ingoiato i loro corpi
con orribile spasmo.
Ruggisce ora il silenzio,
e tra brandelli d’intonaco e di vita
anch’io divento cadavere.
E tu, Natura, vaneggi ancora d’essermi madre?
Indifferente contempli il fremito
che ingoia la mia terra,
la danza selvaggia,
che scuote le viscere antiche,
l’amplesso feroce
che la violenta dal profondo.
Impastami insieme alla terra
perché diventi parte del suo mistero
e lascia che canti la nenia
che soffoca d’amore i suoi sussulti.
Poi, con lo sguardo, l’ accarezzo piano
e aspetto il Tempo
che donerà la grazia dell’oblio
e ancora, eternamente,
orchestrerà giorni e stagioni.
Poso le mani vuote
sul palpito che mi solleva il seno
e accordo quel sospiro
col moto eterno della vita.
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