A tre giorni dalla partenza per il monte Bonte Chico di quasi 6.800 metri s.l.m., dove insieme a Eliano Pessa tenterà di scalare la quarta vetta della cordigliera andina (i due hanno già scalato le prime tre: Aconcagua, Ojos del Salado, Pissis) l’alpinista reatino Arnaldo Millesimi ci racconta gli attimi di paura vissuti nel 1966 durante l’alluvione di Firenze, quando lui e altri sette volontari boy scout partirono alla volta della città toscana per aiutare la popolazione in grande difficoltà dopo lo straripamento dell’Arno.
Nel 1966 il gruppo boy scout di Rieti composto da: Nazzareno Figorilli, Sergio Maffei, Arnaldo Millesimi, Nazzareno Pasquali, Nando Massimetti, Giuliano Colantoni, Giuseppe Di Mattei e Angelo Zanin partì alla volta di Firenze. Da pochi giorni era accaduto l’alluvione che aveva inginocchiato la cittadina toscana. C’era fango dappertutto e la popolazione non aveva più nulla.
“Arrivammo a Firenze con pochi spicci in tasca, avevamo al massimo 2.000 lire e mangiavamo nella mensa comunale. Dormivamo sopra dei materassi poggiati in terra a Palazzo Pucci e in base alle richieste che pervenivano andavamo a spalare il fango nelle attività commerciali oppure a recuperare libri e oggetti d’arte. Eravamo divisi in squadre. Durante uno di questi servizi – racconta Millesimi – io e Sergio Maffei fummo trasferiti a ripulire un forno pieno di fango che si trovava in un seminterrato e per farlo utilizzavamo un motore a scoppio.”
“Il forno si trovava in una stanza senza finestre e dopo quattro ore di lavoro tornando in superficie iniziai a sentirmi male – continua Arnaldo Millesimi – un francese mi soccorse e mi portò di corsa al Pronto Soccorso. Avevo un collasso cardiaco. In fretta e furia i medici mi fecero una iniezione di Nicoren per il cuore e mi misero la bombola dell’ossigeno. Successivamente fui portato in un altro ospedale sulle colline di Firenze per essere tenuto in osservazione un paio di giorni. Il tutto senza che la mia famiglia nè gli amici scout sapessero nulla del mio malessere.”
“Avevo 20 anni e il mio amico Maffei 21, eravamo giovani e non ci fermavamo davanti a nulla. Una volta uscito dall’ospedale, ancora debilitato, mi trasferirono insieme a Sergio in un’altra postazione, più tranquilla, dove fornivamo il vestiario agli alluvionati. Concluso il nostro periodo di volontariato, per tornare a casa, senza soldi in tasca, fui costretto insieme Nando Massimetti a dormire a Roma alla stazione Termini insieme ai senza tetto per una notte intera. La mattina seguente – prosegue Arnaldo Millesimi – essendo senza soldi spiegammo la nostra situazione ad un autista del Sabino, che capita la situazione ci consentì di salire sul pullman venendo pagato una volta giunti a Rieti.”
“In questo flash della mia esperienza come ‘Angelo del Fango’ – conclude Millesimi – ricordo con piacere le serate che tutti i volontari trascorrevano insieme, ritrovandosi al bar ‘Il Falchetto’ vicino al Battistero, dove le consumazioni venivano pagate da chi poteva. In quel marasma conobbi anche una ragazza, Costanza, della quale però non ho saputo più nulla. Chissà lei e un altro giovane, Davide, che fine hanno fatto?”