IL MITO DELLA SOCIETA’ “CIVILE”

Elezioni amministrative

Da una settimana a questa parte, siamo bombardati di notizie relative all’opaca attività di riempimento dei cosidetti “listini” di calderoliana memoria. Mentre il Partito Democratico ammazza (cit.Bersani) il porcellum attraverso le primarie per i parlamentari, altri partiti rincorrono e corteggiano personalità dalla grande visibilità mediatica da collocare in lista, all’insegna del rinnovamento e della discontinuità politica.

Da Emilio Fede a Josefa Idem, da Annalisa Minetti a Caterina Vezzali, queste le improbabili personalità di cui si sente parlare in questi giorni, individui dalla indiscussa notorietà, ma dalla discutibile preparazione politica. Secondo l’opinione degli addetti ai lavori queste candidature sarebbero l’espressione della “società civile” in Parlamento. In questa affermazione a mio avviso vive un errore lessicale, quello di ritenere che esista una società “civile”, derubricando tutta l’altra sponda (la classe politica) nel regno dell’inciviltà.

Tuttavia, lasciando le disquisizioni lessicali agli accademici, la mia analisi vuole mettere in luce la violenza, con la quale si utilizza questa legge elettorale, rendendola un semplice strumento in mano al consenso elettorale, che vede posizionare personalità inadatte ed impreparate al lavoro nei più alti consessi rappresentativi, per la sola visibilità che quel nome può portare al partito.

Attraverso questo utilizzo scellerato dei listini elettorali, si danneggiano da una parte i territori, dall’altra la buona politica, considerando che codeste candidature altro non sono che “seggi sprecati”. Sprecati a danno di tutta quella buona politica, fatta di amministratori di comuni province e regioni, che a pieno titolo possono essere considerati “società  civile”, e con onestà e competenza si dedicano da anni alla gestione della cosa pubblica.  Sprecati a danno dei territori, che potrebbero non essere rappresentati in Parlamento per fare posto a personaggi che nulla hanno a che vedere con la politica, che non godono di alcun consenso se non se non quello di pochi dirigenti di partito che in conclave decidono da quale edizione di Sanremo farci rappresentare.