“C’è chi ha poco più di un’ora a settimana. Chi invece per quattro. Altri invece racimolano qualche giorno al mese. Sono soltanto alcuni dei contratti che la Uil di Rieti e della Sabina romana ha preso come esempio per testimoniare quanto il lavoro di qualità in questo territorio, così come in altri d’Italia, sia spesso una chimera.
“Parliamo di retribuzioni che si attestano sui sette euro lordi l’ora – spiegano Alberto Paolucci e Marco Palmerini della UIL di Rieti – che con estrema difficoltà possiamo definirli salari, laddove le retribuzioni dei lavoratori dovrebbero concorrere al progresso materiale e spirituale della società. Laddove il lavoro dovrebbe assicurare una esistenza libera e dignitosa per sé e per la famiglia. Siamo quindi in un campo che definiamo lavoro grigio, dove si firma un contratto e quindi non si rientra nel campo del lavoro nero, ma dove quel contratto non è un patto che assicura dignità perché nasconde ore in più pagate fuori busta o addirittura non retribuite, richieste di straordinari oltre i limiti di legge.
Eppure, per le fredde statistiche – proseguono i sindacalisti – basta poco più di un’ora a settimana per considerare una persona occupata. Questo meccanismo perverso non considera però gli enormi disagi quotidiani delle lavoratrici e dei lavoratori”.
La prova del nove ce la dà l’elaborazione dei dati di flusso. Da un focus che la Uil di Rieti e della Sabina Romana ha elaborato con l’istituto di ricerca Eures, emerge un quadro a dir poco allarmante del modello occupazionale reatino. Dei 9.384 contratti attivati nel corso del 2022, appena il 23,7 per cento ha avuto carattere stabile (tempo indeterminato o apprendistato), la restante quota (7.156 contratti) si è configurata come precaria. Complessivamente, il 72 per cento delle attivazioni è stata a termine o in somministrazione, il 2,2 per cento intermittente e il 2,1 per cento stagionale.
“Sono risultati che restituiscono un quadro a tinte forti – aggiungono Paolucci e Palmerini – sempre più incentrato sulla precarizzazione del mercato del lavoro. E anche qui le fredde statistiche ovviamente non considerano le difficoltà che ne derivano. Pensiamo soltanto alle scarse tutele e alla discontinuità lavorativa.
Ma c’è altro – concludono i sindacalisti – questi contratti sono spesso caratterizzati da scarsa formazione e poca attenzione alla sicurezza, generando così un esercito di persone che non può godere di un sistema di protezione sociale. Il lavoro grigio crea così non solo instabilità lavorativa e stress correlato, ma rischi concreti per la salute e sicurezza senza avere una copertura sociale.
Non è un caso che i Carabinieri del Comando Tutela del Lavoro di Rieti nell’ultimo quinquennio hanno controllato 1258 aziende riscontrando irregolarità 638. Cosa fare? Per risolvere il problema dei contratti precari possiamo seguire il modello spagnolo, limitandone l’abuso. La scelta di fondo che andrebbe fatta sarebbe semplice e rivoluzionaria: il lavoro precario deve costare di più di quello a tempo indeterminato”.