Caro Felice, ti chiedo scusa ma ieri (lo ammetto) non ho avuto la forza di venire a darti quello che viene comunemente definito “ultimo saluto”: ci avevo pensato, ma ho preferito tenere dentro di me tutto il dolore e non renderlo pubblico.
Ogni tanto insieme ricordavamo quando a 6/7 anni partivo con la mia famiglia da Viterbo per la settimana bianca al Terminillo: alloggio al Cavallino Bianco, maestro di sci il paziente (ero un po’ rompiballe fin da piccolo, lo ammetto…) Felice Rossi.
E dopo diversi anni – io cresciuto ma soltanto anagraficamente parlando – mi sono ritrovato a vivere a Rieti ma quel rapporto di amicizia non si era mai interrotto: di nuovo al Cavallino (cotoletta memorabile e solo tu sai cosa io voglia dire), una pausa al bar, un sorriso, una battuta, la tua infinita bontà ed umanità (qualità assai rare, soprattutto se costanti nei decenni), i racconti di Camusi: insomma definirti soltanto “amico” mi sembra riduttivo.
Quel Cavallino Bianco non c’è più, così come tuo fratello Luigi, i miei compagni di settimana bianca (i miei genitori) e, da qualche giorno, anche il mio maestro di sci dei bei tempi.
E quando ci incontravamo in un supermercato? Quegli occhi, quell’ammiccato sorriso li ho ancora nella memoria, così come quando ci siamo per l’ultima volta incontrati qualche mese fa, purtroppo in ospedale.
Sono sicuro che anche questa volta sarai buono, paziente e comprensivo con me come lo sei sempre stato: non ce l’ho proprio fatta. Ciao amico di una vita.
Gianluca Perricone