Sono stati circondati dall’affetto di tanti confratelli e dei propri cari i diaconi Mario Trecca, Dino Ferri, Giuseppe Angelucci, Adriano Angelucci e Alessandro Ruggeri nel giorno del decimo anniversario dall’ordinazione. Come una grande famiglia, si sono ritrovati insieme a tanti sacerdoti nella basilica di Sant’Agostino per partecipare alla messa presieduta per l’occasione dal vescovo Domenico. Presenti anche mons Lorenzo Chiarinelli e il vescovo emerito Delio, che a suo tempo aveva prima seguito il discernimento vocazionale e poi impartito il sacramento dell’ordine ai cinque confratelli.
La scelta del giorno in cui la Chiesa ricorda il primo martire non è stata ovviamente casuale: santo Stefano è infatti il patrono dei diaconi. Ed è leggendo il suo martirio, senza dimenticare la situazione della Chiesa nel tempo presente, che mons Pompili ha tracciato il ritratto ideale di chi serve la Chiesa nel diaconato.
Innanzitutto ricordando che, ieri come oggi, il destino dei cristiani non è esente da persecuzioni e da contrapposizioni. Anzi, se il cristiano che «non suscita mai avversione e contestazione, se suscita solo sbadigli e indifferenza, vuol dire che non è cristiano fino in fondo». E se quel che dicono i cristiani è indifferente, se non provoca più alcun tipo di adesione o di contrasto, c’è da preoccuparsi. Perché quando la Chiesa finisce per essere ignorata «vuol dire che abbiamo perso il sale, che siamo diventati talmente insipidi da non suscitare alcune reazione».
Colpisce, però, che Stefano muoia perdonando. Anche quando le tensioni esistono, pure a fronte di legittime differenze di opinione, non bisogna mai arrivare allo scontro come nemici. Eppure, ha notato il vescovo, «anche all’interno della Chiesa» le divergenze portano a «una tensione tale che si perde di vista ciò che ci accomuna e ci si divide in bande contrapposte. Questo è del tutto antievangelico: i conflitti sono inevitabili ma non debbono diventare mai contrasti o peggio guerre».
Per tradurre nella particolare vita dei diaconi queste lezioni, don Domenico si è rifatto a una nota di mons Delio Lucarelli, che prima ancora di impartire ai cinque il sacramento aveva tracciato una sorta di ritratto dei diaconi permanti. Essi, spiegava il vescovo emerito, devono avere tre qualità: possedere una mente aperta, essere la «punta avanzata dell’evangelizzazione», sapere integrare bene la Chiesa e la famiglia.
La mente aperta è necessaria per «trasferire dentro la Chiesa la ricchezza e la complessità del vissuto umano» e aiutarla a «farsi carico di tutte le istanze della nostra società». Quanto all’evangelizzazione, il vescovo Delio non ignorava la situazione della nostra diocesi, che è fatta anche di piccole parrocchie disperse. «Un contesto – ha precisato mons Pompili – che vi chiede di essere capaci di inventare cose anche nuove, audaci, creative, innovative», spostando l’accento «dall’essere pastori all’essere evangelizzatori», perché oggi «le pecore stanno tutte e 99 fuori» ed è in base a questo che bisogna orientarsi.
Nel parlare dell’integrazione tra vita familiare e chiesa, poi, il vescovo non ha mancato di ringraziare le mogli e i figli dei diaconi, perché solo loro sanno «quanto questo servizio comporti di sottrazione alla vita familiare». Al punto che le azioni che i diaconi dispongono in favore della comunità sono in qualche modo «compartecipate anche dai loro familiari, a volte personalmente, altre volte indirettamente».
Una riflessione che ha aggiunto un sapore particolare al momento conviviale consumato all’interno della sacrestia di Sant’Agostino, al quale il decano dei diaconi, Vincenzo Focaroli, ha invitato a partecipare tutta l’assemblea, cogliendo l’occasione di ringraziare i presenti per aver condiviso il momento di gioia.
FONTE: Frontierarieti.com