Ci scrive Cristiana, la quale invia a Rietinvetrina la lettera aperta che ha indirizzato al Comune di Rieti:
“La sottoscritta, Marconcini Cristiana, è la proprietaria del Box 15 in via Canali a Rieti, e in seguito all’ordinanza di demolizione del suddetto box da parte del Comune di Rieti, vorrei poter ribadire alcune comunicazioni in merito a tale decisione.
Come prima realtà oggettiva, vorrei ringraziare i funzionari o funzionarie che sono rimasti/e per 4 mesi di seguito, tutti i giorni, a verificare, la puntuale apertura e chiusura in orario del box da parte mia. Peccato che non li abbia mai incontrati, mi dispiace che sia stata la causa di tanti disagi. Non posso smentire che alcuni giorni sono rimasta chiusa, a causa delle problematiche di salute dei miei figli. Sicuramente non sono stata chiusa per 4 mesi di seguito.
E’ noto a tutta la Città, che il mercato sito in via Canali versa in declino, le motivazioni sono: il degrado sociale e ambientale, posteggi selvaggi davanti ai box, la grave crisi economica in cui versa Rieti da molti anni, la grave crisi dovuta al Covid con chiusure forzate, un repentino cambiamento climatico con un clima torrido e pericoloso, la guerra in ucraina, una piazza di spaccio a cielo aperto, un degrado sociale con spesso episodi di violenza e contro il decoro, ma il box 15 è sempre rimasto aperto tranne nei momenti di malattia dei miei figli, pulito e con in bella mostra i prodotti in vendita, un presidio di bellezza e arte.
Purtroppo, da quando mio figlio M. ha finito la scuola, e non essendoci nessun centro semiresidenziale per giovani adulti disabili a Rieti, ho dovuto ridimensionare l’assetto familiare e la mia attività lavorativa. Non potendolo portare con me in quel luogo, a causa del degrado ambientale e sociale, in cui versa il mercato, alcuni giorni, ma mai di seguito, non ho potuto aprire. La condizione di M. non permette il suo collocamento anche solo per poche ore in quel luogo. Nel frattempo, si è aggravata anche la condizione psichica/fisica di mio figlio M., che come ben conoscono la situazione il C.I.M di Rieti ed i dottori che lo seguono, ho dovuto seguirlo ancora di più.
Sono una cittadina che quando la comunità di questa Città e le sue Istituzioni hanno chiamato a raccolta le forze sane e competenti per affrontare una emergenza ho sempre risposto in maniera positiva e costruttiva, il terremoto di Amatrice, ero in prima linea per aiutare la popolazione e portare aiuti, quando è scoppiato il Covid, ero con la porta sociale (organizzazione del Comune di Rieti) a organizzare, preparare smistare e consegnare i pacchi per le persone che avevano perso tutto, tutti erano rinchiusi in casa terrorizzati , invece la sottoscritta era per strada a portare conforto e beni essenziali per i cittadini in difficoltà, con i propri mezzi ed a spese proprie, infine ma non per ultimo sono una volontaria della mensa di Santa Chiara, sono una donna che non si è mai girata dall’altra parte, ho sempre fatto la mia parte di cittadina attiva, sempre disponibile ad aiutare gli altri, sono membro attivo di varie associazioni che si occupano di disabilità sul territorio, ed ecco che il Comune dove opero e vivo vuole demolire il box efferato, perché dicono, sono rimasta chiusa per 4 mesi, ma mai di seguito.
Probabilmente sfugge ai più che in questa ridente cittadina, non c’è un centro semiresidenziale per giovani adulti disabili, nonostante la legge 134 del 2015, affermasse con rigore e forza, l’apertura di tale servizio, i ragazzi/e disabili adulti sono dei fantasmi, diventano invisibili, ma questa legge in questa cittadina non viene neppure presa in considerazione, è chiaro che senza l’apertura di centro che si occupi in modo serio e professionale di mio figlio M., ho grosse limitazioni per poter lavorare, però si applica con rigore ,contro una donna ed i suoi figli disabili al 100% con disabilità gravissima, un articolo del regolamento mercatale redatto molti anni fa, che non tiene conto della trasformazione della comunità, delle problematiche , di evoluzione dell’emancipazione del lavoro femminile, intercorse in questi ultimi anni. Il box in questione è l’unico bello, pulito e a norma di legge, ed esponeva e vendeva articoli unici ed artigianali ed originali, fatti a mano, sicuramente in altre città, questo box sarebbe stato, un punto di forza, un valore aggiunto in confronto alle produzioni fatte in maniera industriale e in serie, un presidio di artigianalità e made in italy e del “fatto a mano”, ma in questa cittadina si demolisce, un valore aggiunto, si distrugge un patrimonio di tradizione e cultura.
Il box “efferato” funge anche da ricovero per senza tetto infatti tutte le sere ci sono dei ragazzi che dormono riparati dalla tettoia, infatti tutto questo è molto strano, perché dormire per strada quando ci sono i ricoveri per il freddo per i senza dimora? OPS non ci sono, ma sicuramente verrà distrutto questo è un ricovero illegale, meglio farli dormire sotto il ponte romano.
Si distrugge ma non si costruisce, non si riconverte un box mercatale, in un punto di pubblica utilità, non si costruisce un centro semiresidenziale per giovani adulti disabili, per dare ad una donna la possibilità di lavorare in serenità, di potersi evolvere, di emanciparsi. Sono stata scelta per poter ricevere il microcredito dalla Regione Lazio, ho pagato ben 5.000,00 euro in pubblicità con app e sito, ma la sindrome di mio figlio e l’impossibilità di avere un centro dove poter collocare mio figlio la mattina e le discontinue e altalenanti condizioni di salute dell’altro mio figlio non ho potuto continuare un discorso di vendita on line che iniziava a prendere forma, l’agenzia alla quale mi ero affidata poi è fallita e quindi tutto è saltato.
Insieme ad un’importante associazione del territorio, che si occupa di disabilità, di utenza fragile ect abbiamo redatto un progetto di avvio al lavoro per giovani adulti disabili, utilizzando il box incriminato, come punto vendita, vorrei poter portare buon fine questo progetto, cedendo/donando il box a questa associazione molto operosa sul territorio, ma se demoliamo il box? Rimango a disposizione per chiarimenti”.
Cristiana Marconcini