COSTINI: UN CONSIGLIO PROVINCIALE SVOLTO NEL SILENZIO QUASI GENERALE

Costini, Area Rieti
Ieri si è svolto nel silenzio quasi generale un consiglio provinciale straordinario per discutere dello scioglimento o meglio della riforma delle Provincia, che prevede di fatto lo svuotamento delle competenze, la trasformazione dell’ente in una specie di grande comunità montana, con un presidente eletto dai sindaci dei comuni.
Poco interesse, poca partecipazione (era un consiglio aperto e si sono visti un paio di consiglieri comunali di Rieti, 3 o 4 sindaci, qualche presidente di associazione di categoria) a dimostrazione di come questo provvedimento sia poco o nulla sentito, non solo dalla gente comune (ed è comprensibile vista la campagna stampa che ha trasformato le provincie nel paradigma degli sprechi della politica) ma anche, e questo è meno comprensibile, tra quegli amministratori pubblici che meglio di altri dovrebbero capire come questo provvedimento potrebbe rappresentare in una realtà come la nostra, l’estrema unzione dell’economia del territorio. Ma questa è la realtà di una classe politica, interessata a disquisire sui venti euro dati davanti ai seggi delle primarie, sull’utilità o meno dei sondaggi, ma assolutamente assente nel momento in cui si prendono decisioni strategiche che influenzeranno il futuro prossimo.
Nell’ambito delle considerazioni, tutte giuste e condivisibili, affrontate nel dibattito credo che una più prettamente territoriale dovremmo sottolinearla, lanciando da subito un allarme e cercando di trovare una soluzione. L’abolizione, o il ridimensionamento, della Provincia a Rieti significherebbe da subito, tra l’altro, la chiusura dell’università, che oggi vive sul finanziamento sostanziale e sostanzioso di tre enti principali, Comune di Rieti, Fondazione Varrone e Provincia appunto, con l’apporto minore in termini economici di altri soggetti tra i quali Camera di Commercio, ASI ed ASL.
L’uscita di scena della provincia determinerebbe, di fatto il venir meno di un terzo del finanziamento, oggi appena sufficiente a garantirne la sopravvivenza, e di conseguenza la chiusura definitiva di un progetto, che tra luci ed ombre, aveva rappresentato una delle speranze di questa città e di questo territorio. Se a questo aggiungiamo come il tema universitario, tranne che nel programma di AREA RIETI, sembra scomparso dal dibattito politico, ed ha subito in quest’ultimo periodo un ridimensionamento importante, nel silenzio generale, con l’uscita del comune di Cittaducale (socio storico), non credo di essere un profeta di sventura affermando che in tempi brevi vedremo chiudere quel poco o tanto che in questi anni era stato faticosamente costruito.
Come sempre esistono responsabilità importanti anche dei soggetti direttamente interessati, con un congelamento in questi anni di qualsiasi ipotesi di sviluppo e di maggiore autonomia, che ha visto, tranne l’opera eroica compiuta dai responsabili delle facoltà presenti impegnati a difendere con i denti quanto già presente (si pensi solo all’azione meritoria di marketing svolta dal prof. Cecere per ingegneria) e dalla felice intuizione dei master sanitari, che in un silenzio incomprensibile, rappresentano oggi un fiore all’occhiello della nostra città, con importanti ricadute economiche, per il resto fare ben poco.
Nessuna notizia si ha dell’ipotesi di trasferire a Rieti alcune specializzazioni mediche, progetto che avrebbe contribuito a solidificare la realtà universitaria locale e probabilmente anche a migliorare quella dell’ospedale, con l’innesto di nuove professionalità; rimasto al palo anche il vecchio sogno dell’ex assessore Marchegiani di costituire una rete dei saperi, mettendo in connessione le varie realtà presenti sul nostro territorio (Scuola NBC, Strampelli, Parco Tecnologico e scientifico, etc), idea importante che avrebbe potuto rappresentare un volano di sviluppo anche per le imprese, ma completamente scomparsa dall’agenda politica ed universitaria.
Per questo credo sia utile riaprire quanto prima il dibattito sul futuro della Sabina Universitas, nell’interesse dei cittadini, dello sviluppo, e soprattutto perché solo se riusciremo a percorrere strade nuove avremo qualche speranza di uscire da questa crisi. Altrimenti continuiamo a baloccarci con gli slogan, utili ad avere titoli di giornale, in una città troppe volte più interessata ai pettegolezzi che ai progetti seri.