Otto marzo nel segno della consapevolezza e dell’impegno stamattina a Palazzo Potenziani. La presentazione del nuovo progetto della Fondazione Varrone Casa d’emergenza per donne maltrattate insieme al centro antiviolenza Angelita e al Nido di Ana è stata l’occasione per inquadrare nel contesto locale il tema della violenza sulle donne grazie agli interventi del Prefetto Gennaro Capo, del Questore Maria Luisa Di Lorenzo, del comandante provinciale dei Carabinieri Bruno Bellini e dell’assessore ai Servizi Sociali Giovanna Palomba, che con dati, indicazioni e sollecitazioni hanno invitato a sollevare il velo di omertà, paura e pudore che spesso copre il fenomeno.
I DATI. 48 i casi di violenza ai danni di donne denunciati nel 2021 ai Carabinieri, solo 3 alla Polizia, 52 le donne prese in carico dal centro antiviolenza Nido di Ana: numeri assolutamente sottostimati, anche considerando le 12 ammonizioni a maltrattanti disposte dal questore e alla pletora di reati spia che le forze dell’ordine monitorano attentamente.
GLI INTERVENTI
“Tutto questo va letto tenendo conto una serie di vincoli che legano le donne a uomini maltrattanti – ha rimarcato il Prefetto Gennaro Capo – la tutela dei figli e dell’integrità familiare, la dipendenza economica, l’integrazione culturale”. “I dati sono una cosa, la realtà è molto diversa con i carabinieri chiamati ad intervenire anche quotidianamente in certe famiglie – ha spiegato il comandante Bruno Bellini – Parliamo di un contesto semplice, di uomini con un approccio culturale e mentale sbagliato. Per questo bisogna lavorare sulla prevenzione, cominciando dai ragazzi sin dalle scuole”. “Quello che conta è che le donne prendano coraggio, si fidino di noi, e denuncino – ha detto il Questore Maria Luisa Di Lorenzo – Ben venga l’iniziativa meritoria della Fondazione Varrone e l’azione quotidiana dei centri antiviolenza: Rieti sembra una città tranquilla ma credetemi, sottotraccia non è così”.
“Era questo l’obiettivo che come Fondazione ci eravamo prefissati – ha detto il presidente Antonio D’Onofrio – Dando vita a questi alloggi temporanei volevamo dare una risposta immediata a situazioni drammatiche e nello stesso tempo accendere l’attenzione su un fenomeno che ci interpella tutti e non solo oggi che è l’8 marzo ma ogni giorno”. “Con le case d’emergenza si realizza un sogno e si chiude un cerchio – ha detto Silena D’Angeli, presidente del centro antiviolenza Angelita – Ora abbiamo la possibilità di offrire un riparo sicuro alle donne denuncianti. Grazie alla Fondazione Varrone andiamo a rafforzare questa sinergia importantissima che c’è tra noi, i Servizi sociali del Comune e le forze dell’ordine”. Sull’importanza della rete ha insistito anche Alberta Tabbo, presidente del Nido di Ana, che dal 2007 ha preso in carico e assistito 265 donne nel loro personale e spesso doloroso percorso di affrancamento da violenze domestiche. “Parliamo di un problema delicatissimo, al quale bisogna approcciarsi con competenza e contando su una rete forte: gli alloggi che finanzierà la Fondazione sono salvifici ma al tema dell’emergenza abitativa va affiancato il lavoro con ogni singola donna”.
IL PROGETTO
Il progetto Casa d’Emergenza è nato per offrire un primo alloggio a quelle donne e a quei minori per i quali la propria casa non è più un posto sicuro dove stare ma per i quali non è ancora maturata una scelta di allontanamento o separazione e soprattutto non è ancora scattato il sistema di protezione garantito dallo Stato, attraverso provvedimenti di carattere giudiziario e misure socio-assistenziali. E’ in questa zona d’ombra che spesso le donne si rivolgono ai Centri anti violenza. In città ce ne sono due: Angelita, coordinato da Silena D’Angeli, e il Nido di Ana, promosso dall’associazione Capit, presieduta da Alberta Tabbo. Casa d’emergenza è un progetto sperimentale, che sarà gestito dai due Centri antiviolenza ma che può rappresentare un riferimento anche per le forze dell’ordine che si trovano ad intervenire in situazioni familiari o personali a rischio violenza o per quei presidi sanitari che accolgono e curano donne maltrattate ma non possono garantire loro un ricovero.