Un racconto, venerdì sera alla sala Calasanzio, come una fola narrata innanzi al tepore del camino in un vecchio cascinale. Così Adelmo Cervi da Reggio Emilia, figlio di Aldo fucilato insieme ai suoi sei fratelli dai fascisti il 28 dicembre ’43, davanti ad una platea curiosa ed intenerita, con il contributo del Prof. Domenico Scacchi, ha spiegato le ali della sua voce, il suo vulcanico esserci, il suo modo di non essere altro, anche quando l’età permetterebbe di raccogliere piuttosto che seminare.
Una storia in bianco e nero, fotografie e pagine ingiallite, su cui scorre il rosso del sangue versato dai Resistenti Cervi, di quanti come loro non accettarono e non si arresero all’orrore e alla barbarie, all’oppressione di classe, al sopruso sposato a sistema. Lo sguardo di Adelmo si ferma, il pensiero si arresta in una istantanea di oggi, si rivolge ai presenti, a chi non è in sala, a quella sinistra smarrita e orfana di padri e orizzonti per cui vale la pena lottare ancora. Proprio lui Adelmo Cervi, che di un padre ucciso a 34 anni inseguendo l’ideale più alto, uguaglianza e libertà, ha fatto a meno, cullandosi da solo.
Adelmo che interroga con voce ferma e sonante se il fatto di considerare eroe Aldo Cervi e i suoi fratelli, Ernesto “Che” Guevara e tanti altri rivoluzionari, combattenti, Partigiani, non sia il segnale che noi qui, oggi, non vogliamo assumerci l’impegno della trasformazione della società, della costruzione di un mondo migliore, preferendo scomparire nel mito di ciò che è stato, che se non coltivato rischia di non essere per sempre.
Il fiore di una passione durevole, una dolce ninnananna quella di Adelmo dove si rincontrano ragione e sentimento, dove non c’è solo l’assalto dei fratelli all’armeria, il carcere duro a Gaeta, l’università di mio padre dice l’autore, ma il gusto e il piacere della scoperta, della lettura, di quella biblioteca casalinga costruita con fatica ed esperienza, lo studio dei sistemi agricoli per migliorare la condizione dei campi e la propria.
Da mezzadri a fittavoli, la strada dei Cervi, nove i figli di Alcide e Genoeffa Cocconi nati, nell’arco di un ventennio e dal ventennio rapiti, sotto le stelle di quella pianura oggi decantata da forze politiche capaci, se lasciate fare, di riportare l’orologio della storia indietro di anni. L’amore per la terra e le tradizioni, il granaio, le mani callose del papà di cui Adelmo non ha memoria come dei passi, della voce, del suo calore, tanto e di più ancora in questa storia di Umanità e Resistenza, dove il tutto apparentemente sconosciuto si rivela al lettore perché Adelmo da sempre conosce il suo cuore, quello del babbo Aldo Cervi.
E al termine si raccolgono sorrisi e strette di mano. Le luci dei telefonini squarciano il buio di una via Sant’Agnese affollata di amici e compagni, al centro Adelmo a scolpire sulle pagine del libro una frase, un pensiero, una dedica a chi per una sera si è sentito parte di una storia e Partigiano contro l’indifferenza.
E noi dell’Arci e dell’Anpi, non possiamo che ringraziare questo ragazzo settantunenne capace di dare ali alla sua voce perché le sue radici affondano salde e vigorose nella terra, in quella terra che sogna le farfalle e che l’aria fa cantare………. allora ascoltiamo.
Un abbraccio grande Adelmo, come il tuo racconto, da Valle Re ai Campi Rossi.