LSU e il “diritto alla pensione”, nel Reatino sono 2.500

“I lavori socialmente utili hanno segnato il passaggio da un modello prettamente socio-assistenziale (welfare), ad un modello socio-lavorativo (workfare) che prevedeva l’utilizzo di risorse statali a sostegno dell’occupazione, in cambio da parte dei soggetti beneficiari di fornire una prestazione lavorativa che aveva per oggetto la realizzazione di opere e la fornitura di servizi utili alla collettività, volti a creare occupazione stabile nel breve periodo sia nel settore pubblico che privato.

Le attività avviate nella metà degli anni novanta per contrastare la forte disoccupazione dovuta alla globalizzazione, che aveva messo in crisi il tessuto produttivo del Paese composto dalle piccole e medie imprese, ha interessato principalmente le regioni del centro-sud Lazio, Campania, Calabria, Basilicata, Puglia, Sicilia e Sardegna, coinvolgendo UNA PLATEA di circa 140.000 lavoratori,  di cui 8.000 ancora da stabilizzare, collocati soprattutto negli Enti Locali delle rispettive Regioni di appartenenza.

La prima disciplina organica in materia fu operata da decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468, (Revisione della disciplina sui lavori socialmente utili) – successivamente abrogato dal decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive – che prevedeva la distinzione delle attività in:

a) Lavori di pubblica utilità (L.P.U.) mirati alla creazione di nuovi posti di lavoro, della durata di 12 mesi, prorogabili al massimo per ulteriori due periodi di 6 mesi;

b) Lavori socialmente utili (L.S.U.) mirati alla qualificazione di particolari progetti formativi in settori innovativi, della durata di 12 mesi.

Il richiamato decreto individuava, inoltre, tra i soggetti promotori dei Progetti di L.S.U. le Amministrazioni Pubbliche, gli Enti Pubblici Economici, le Società a totale o prevalente partecipazione pubblica, le Cooperative che gestiscono Servizi socio-sanitari ed educativi e quelle per lo svolgimento di attività, agricole, industriali, commerciali o di servizi, mentre tra i soggetti utilizzabili in attività socialmente utili, lavoratori disoccupati espulsi dalle medie e grandi imprese in Cassa Integrazione (CIGS), gli ex disoccupati speciali provenienti dall’edilizia, i lavoratori disoccupati iscritti da più di 2 anni nelle liste del collocamento ecc.

La peculiarità dello status giuridico nelle attività socialmente utili, ai sensi dell’articolo 26 del richiamato decreto legislativo14 settembre 2015, n. 150, è l’assenza di un Contratto di Lavoro, cd. Rapporto di utilizzo; infatti ai lavoratori per una prestazione di 20 ore settimanali, compete un corrispettivo mensile di € 605,00 (rivalutazione del 2022) erogato dall’INPS e/o dalle Regioni di appartenenza sotto forma di sussidio di disoccupazione, denominato assegno socialmente utile (A.S.U.), sprovvisto delle spettanze contrattuali riconosciute invece ai lavoratori in possesso di un Contratto di Lavoro.

Il bacino storico nazionale dei LSU/LPU si compone di due tipologie di lavoratori, i cd. Transitoristi di competenza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, a carico del Fondo Sociale per Occupazione e Formazione (FSOF) e i cd. Lavoratori non-Transitoristi e/o autofinanziati con oneri a carico delle Regioni.

L’assottigliamento del Bacino Nazionale, ancora in corso di svuotamento,  è avvenuto nel corso degli anni  in maniera graduale ed è dipeso principalmente da tre fattori: 1) per la contrattualizzazione dei lavoratori presso i rispettivi ENTI di appartenenza oppure presso altri Enti; 2) per il raggiungimento dell’età pensionabile con la contestuale cancellazione dei quiescenti dal bacino nazionale e regionale; 3) per le dimissioni volontarie dei lavoratori dai progetti tramite l’incentivazione alla fuoriuscita.

Sin da subito il legame tra i lavoratori e gli Enti di utilizzatori, si è di fatto tramutato in vero e proprio rapporto di lavoro subordinato. Il protrarsi progetti oltre il termine indicato dalla legge, ha evidenziato tutte le carenze del cd. rapporto di utilizzo disciplinato dal legislatore.

Dal punto di vista giuridico/economico ha significato per la categoria, a parità di mansioni svolte rispetto ai dipendenti di ruolo, lo svuotamento dei diritti contrattuali ad essi invece riconosciuti (inquadramento, progressione giuridico/economica, 13ma mensilità, T.F.S. ecc.); infatti l’assegno ASU di pari importo per tutti prescinde dalla mansione effettivamente svolta.

Sotto l’aspetto previdenziale, il comma 11 dell’articolo 26 del citato decreto legislativo 150 del 2015, prevede che: “Per i periodi di impegno nelle attività di lavori socialmente utili per i quali è erogato l’assegno di cui al comma 5, trova applicazione il riconoscimento d’ufficio di cui al comma 9 dell’articolo 7 della legge n. 223 del 1991, ai soli fini dell’acquisizione dei requisiti assicurativi per il diritto al pensionamento. E’ comunque consentita la possibilità di riscatto dei periodi di utilizzazione nei lavori socialmente utili ai fini pensionistici, ai sensi della normativa vigente in materia, con particolare riguardo agli articoli 5 e seguenti del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 184.

Il riconoscimento della contribuzione figurativa, valida per il raggiungimento dell’età pensionabile, che poteva avere senso nel brevissimo periodo, o se fosse ancora in vigore il vecchio metodo di calcolo con il sistema retributivo nel caso in cui i lavoratori fossero stati nel frattempo contrattualizzati, ha evidenziato un vulnus normativo che pregiudica sostanzialmente la prestazione svolta, incapace quindi di generare in termini economici un incremento sulla pensione in un arco temporale di lunghissimo periodo, a cui i lavoratori sono dovuti sottostare. Alla luce delle considerazioni sinora svolte, il presente disegno di legge si prefigge di sanare un vulnus normativo per il mancato riconoscimento del diritto alla pensione ai  lavoratori di pubblica utilità (LPU) e quelli socialmente utili (LSU) del cd bacino storico Nazionale e Regionale, siano essi transitoristi  e non transitoristi, ovvero fuoriusciti dai progetti, in quiescenza e/o stabilizzati, considerato che, da oltre venticinque anni, hanno contribuito all’indispensabile svolgimento dei compiti istituzionali delegati dalla legge agli Enti Pubblici di appartenenza (operai addetti alle manutenzioni, istruttore finanziario, istruttore tecnico, istruttore amministrativo, servizi demografici, cimiteriali, trasporti, scolastici ecc. ecc.), sopperendo a carenze di organico, con notevoli risparmi in termini di  risorse finanziarie a carico del bilancio statale e locale.

Dott. Alessandro Desideri