XXVII per annum (inizio del ministero pastorale a Verona)
(Ab 1,2-3; 2,2.4; Sl 95; 2 Tm 1,6-8.13-14; Lc 17, 5-10)
“Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti, a te alzerò il grido: ‘Violenza!’ e non salvi?”. Le domande angosciate di Abacuc risuonano alle nostre orecchie per la loro impressionante attualità. Vien da chiedersi: siamo forse davanti al baratro di una guerra nucleare? La fede nasce sempre da una interrogazione lancinante che fa uscire dall’isolamento e mette in movimento. La nostra generazione, a dire il vero, tende a censurare le domande. Mentre suscitare gli interrogativi è vitale per non lasciarsi sopraffare dalla banalità. Non a caso, la chiesa veronese nel Sinodo del 2002 si è identificata con una domanda, quella posta da Gesù ai suoi contemporanei: “Che cosa cercate?”. A dare risposte sono capaci tutti, ma a porre le vere domande ci vuole un genio. E Gesù un genio lo è. Se è vero che pone centinaia di domande: c’è chi è arrivato a censirne ben 217. La fede nasce dalle domande. E il primo compito della Chiesa è risvegliarle, suscitarle, provocarle.
“Figlio mio, ti ricordo di ravvivare il dono di Dio”. L’Apostolo Paolo non pone una domanda al suo giovane discepolo Timoteo, ma suggerisce un atteggiamento da coltivare. Il dono che è Dio stesso va “ravvivato”, cioè rivitalizzato perché è un’esperienza che cresce insieme con noi. La fede cristiana, infatti, non è mai una “consuetudine” (Tertulliano); non sopporta un’appartenenza generica, ma esige una scelta consapevole. In particolare, per essere trasmessa la fede chiede di soffiare sul fuoco del presente e non sulle ceneri del passato. A tal proposito, la storia della chiesa a Verona è esemplare: quando nell’Ottocento sembrava già incrinarsi il rapporto con il Vangelo proprio qui sono nate una serie di esperienze educative, missionarie e culturali che hanno portato il Vangelo, ben oltre le mura della Città.
Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato ed esso vi obbedirebbe!”. Gesù utilizza l’immagine di un seme che è piccolissimo, ma proprio per questo è destinato a crescere. La fede è così: invisibile, ma irresistibile. Essa è pervasiva, mai spavalda. Sa contaminarsi, senza perdere la propria identità. E’ “in-utile”, come il servo della sconcertante parabola del Maestro, nel senso che non guarda ai risultati, ma attrae per sé stessa. Senza Dio, infatti, manca una visione e si finisce per inseguire il frammento, camminando verso il niente. E’ questo oscuro presentimento di procedere verso il vuoto che dà le vertigini. Soprattutto ai più giovani che detestano un’esistenza piatta e monotona. Da oggi sono qui in questa chiesa di Verona a muovere il primo passo. E che cosa mi prefiggo? Una cosa semplice e alla portata di tutti: “vorrei imparare a credere” (D. Bonhoeffer), per ritrovare il respiro della vita che è Dio. Gesù chiede ai suoi leggerezza e gratuità. E’ questione di discrezione, di stile, di misura dello spirito. Come in alcuni versi di un poeta e mistico medievale, Rumi (1207-1273): “Noi siamo dei flauti, ma il soffio è tuo, Signore. / Noi siamo dei monti, ma l’eco è tua”.