Nuovo appuntamento su Rietinvetrina con la RUBRICA DI ANGELITA. Oggi l’articolo è a firma di Silena D’Angeli, presidentessa del Centro Antiviolenza Angelita di Rieti:
Nonostante i miglioramenti registrati negli ultimi anni, l’occupazione in rosa continua a presentare molti lati oscuri nel vecchio continente, ancor di più in Italia. A prescindere dai numeri, comunque ancora troppo differenti tra uomini e donne, il problema risiede nella mentalità che guida il mercato del lavoro, sempre legata ad un sistema in cui l’uomo “deve” lavorare e la donna, invece, “può”.
Gli studi, da questo punto di vista, sono migliaia, tracciare un quadro del lavoro femminile non è molto complicato, anzi è più difficile, invece, presentare delle soluzioni che siano originali e soprattutto efficaci per diminuire il divario di genere.
E questo non solo per un principio di equità, elemento comunque da non sottovalutare. Ma anche per trovare delle soluzioni ai problemi endemici del mercato del lavoro comunitario, ovvero la produttività, la scarsa occupazione e le performance.
I numeri. Dalle nostre parti si è finalmente abbattuto il muro del 50%, ovvero più di una donna su due è occupata (il tasso nel 2019 è stato del 52,5% secondo i dati Eurostat). Nonostante questo, l’Italia resta uno Stato per uomini. Il divario occupazionale in termini percentuali, infatti, si attesta intorno al 28%, il secondo più alto in Europa dopo Malta. Anche il livello di occupati porta l’Italia in fondo alla classifica europea: peggio di noi solo la Grecia con il 48% di donne al lavoro. La media Ue, comunque, è del 66,5%, circa quindici punti più alta di quella italiana. In generale, non c’è un paese Ue che presenti tassi di occupazione femminili maggiori di quelli maschili.
Un aspetto interessante riguarda le donne inattive e in part-time: in Italia ci sono 280 mila donne inattive e 153 mila in part time (433 mila in totale) che nel 2018 avrebbero potuto cambiare la propria posizione lavorativa se fossero stati adeguati i servizi per l’infanzia e per la gestione di persone autosufficienti. Delle 433 mila, circa l’88% lamenta la carenza di servizi rivolti all’infanzia e il 12% di servizi rivolti alle persone autosufficienti. Questa cifra ci permette di affrontare il tema della mentalità che guida il nostro mercato del lavoro (ma, più in generale, il mercato comunitario): le donne sono considerate le addette naturali alla gestione familiare e anche al sostegno delle persone non autosufficienti.
Le soluzioni. Come già detto, non si tratta solo di numeri, ma di mentalità. E per cambiare la mentalità nel mondo del lavoro bisogna lavorare su certi aspetti ma, soprattutto, mettere mano al portafoglio. Uno dei primi argomenti da trattare è quello della genitorialità: secondo uno studio realizzato dalla commissione europea, l’impatto della genitorialità si riflette sul tasso di occupazione femminile, soprattutto per quanto riguarda le donne con figli under 6: la percentuale di occupate per questa categoria è di media di 8 punti inferiore rispetto al tasso di occupazione di donne senza figli. Addirittura, in Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, il divario arriva a toccare il 30%, mentre in Estonia, Germania, nel Regno Unito e in Finlandia è superiore a 15 punti percentuali. Anche nel lavoro a tempo parziale il divario di genere è più accentuato per i genitori: lavora in part time il 38,9 % delle madri rispetto al 5,8 % dei padri.
In definitiva, le donne nel nostro paese non sono libere, perché sono costrette a scegliere. Uno stato dovrebbe mettere la donna nella condizione di poter scegliere liberamente tra tre opzioni: la prima è di lavorare e non essere madre senza per questo essere accusata; la seconda di essere madre e comunque fare carriera; la terza di essere solo madre
Nessuna di queste tre scelte deve essere penalizzante, nessuna deve essere più centrale delle altre. Nel nostro sistema, invece, siamo sbilanciati su una scelta alternativa tra le tre opzioni.
L’augurio pertanto che le politiche nell’era post covid siano a sostegno delle famiglie per una ripartenza, e soprattutto le donne vittime di violenza scelgano per il loro futuro non solo sussidi ma tentino di rientrare in un mondo che non è quello delle mura domestiche dei rifugi , ma è quello del lavoro.
Socializzare, partecipare alla vita attiva di una società equivale a vivere per il resto ci si è soltanto salvate la pelle. Essere donna è un’esperienza di vita bellissima e non può essere limitato alla “sopravvivenza”. Molte donne nei loro percorsi di uscita dalla violenza preferiscono i redditi di sostegno all’avviamento al lavoro.
Pertanto ben vengano programmi di potenziamento economico ad hoc ed azioni mirate. Allo stesso tempo però rafforziamo le competenze con istruzione e formazione o interventi che facilitino l’entrata o il rientro nel lavoro. Socializzare, interagire, avere un proprio reddito equivale a vivere in pieno la propria esistenza. Salvarsi la pelle non basta.
Il centro antiviolenza Angelita attivo 365 gg l’anno, anche in zona rossa, è a disposizione di chi vorrà informazioni per percorsi di lavoro in base all’ esperienza ed alle proprie abilità.
Il CAV Angelita si trova in via delle Stelle, 24 a Rieti, telefono 377 69 79546 h24.