Sono passati 74 anni dal 2 e 3 giugno dell’anno 1946, quando gli italiani si recarono al voto non solo per eleggere l’Assemblea Costituente, ma anche per scegliere il sistema costituzionale tra monarchia e repubblica. Ma quei giorni ebbero anche un terzo significato storico e sociale senza precedenti. Finalmente votavano anche le donne quell’anno, prima alle amministrative, poi alle politiche e al referendum costituzionale.
Finalmente anche l’Italia aveva il suffragio universale, già in vigore da tempo in diversi paesi europei. Una grande rivoluzione che certamente contribuì alla scelta
costituzionale repubblicana, la quale s’impose per due milioni circa di voti di scarto. A
favore della Repubblica i voti furono 12.717.923. A favore della Monarchia i voti
risultarono essere 10.719.284 e i voti nulli e le schede bianche oltre 2 milioni e mezzo.
28 milioni gli aventi diritto la voto, dei quali però circa 3 milioni non si presentarono
ai seggi. Il numero delle elettrici superava quello degli elettori. Ma il significato più importante della Festa del 2 giugno quest’anno è la decisione delle associazioni dei partigiani ANPI e ANPC di dedicare questa giornata non solo alle donne che votarono, ma anche a quelle famose 21 che furono elette all’Assemblea Costituente. E’ doveroso, anche se tardivo, ricordare le “madri costituenti”, che hanno lasciato un’impronta fondamentale nella nostra Costituzione, con i contenuti della pari
dignità, del diritto al lavoro, dell’istruzione e della famiglia.
Erano 21 e appartenevano a partiti politici diversi: nove erano comuniste (Adele Bei,
Nadia Gallico Spano, Nilde Iotti, Teresa Mattei, Angiola Minella, Rita Montagnana,
Teresa Noce, Elettra Pollastrini di Rieti, Maria Maddalena Rossi); nove democratiche cristiane (Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Filomena Delli Castelli, Maria De Unterrichter Jervolino, Maria Federici, Angela Gotelli, Angela Guidi Cingolani, Maria Nicotra, Vittoria Titomanlio); due socialiste (Angelina Merlin e Bianca Bianchi) e una della lista “Uomo Qualunque” (Ottavia Penna Buscemi).
Elettra Pollastrini, raccontano all’ANPI reatina, era nata a Rieti il 15 luglio 1908 e
deceduta nella stessa città il 2 febbraio 1990. Era stata un’operaia e poi una
parlamentare comunista. La sua famiglia di antifascisti nel 1934 fu costretta a emigrare in Francia per sottrarsi alle persecuzioni del regime. Trovato un lavoro la giovane, che aveva aderito al Partito comunista, fece l’operaia alla Renault e nell’azienda francese fu alla testa delle lotte di quei lavoratori. Incaricata della redazione di Noi Donne, allo scoppio della guerra civile nella penisola iberica si trasferì in Spagna.
Al rientro in Francia fu arrestata e rinchiusa nel campo di Rieucross. Riuscita a rientrare in Italia, nel 1941 la Pollastrini tornò a Rieti dove riprese l’attività antifascista clandestina e, dopo l’annuncio dell’armistizio, entrò nella Resistenza romana. Arrestata dai tedeschi e tradotta in Germania trascorse venti mesi nel carcere di Aichach.
Dopo la Liberazione, tornata in Italia, fu una delle nove donne comuniste entrate a far parte della Consulta Nazionale e, nel 1948, fu poi eletta deputata del PCI alla Camera, dove restò per due legislature. Nel 1958 si trasferì in Ungheria dove, per 5 anni, lavorò a Radio Budapest. Alla memoria di Elettra Pollastrini è stata intitolata una strada della città di Rieti.
Giuseppe Manzo