“Si tratta di rendere il territorio adeguatamente forte alla richiesta di semplificazione e di competizione territoriale. Il punto debole del nostro territorio è evidente; sta nella estrema frammentazione e nella presenza di comuni molto piccoli e non più in grado di assolvere adeguatamente i compiti assegnati.”
L’emanazione del decreto che prevede il riordino delle province determina una naturale accelerazione sugli scenari su cui si è dibattuto in questi mesi. Comprensibili le apprensioni che si registrano per una unione che agli occhi di tutti appare innaturale ed illogica, ma imposta solo dalla combinazione dei numeri saltata fuori dal cilindro di Patroni Griffi. Del resto che le province non fossero in buona salute era noto da tempo; a più riprese avevano evitato il colpo di forbice solo all’ultimo secondo.
I sondaggi confermano che buona parte della opinione pubblica non ne comprende l’utilità e solo la necessità di osservare l’art. 114 e segg. della Costituzione ha evitato che si procedesse per la loro totale abolizione. Logico invece attendersi maggiore oculatezza di scelta allorché si è optato per una operazione di riduzione del numero complessivo.
Aver privilegiato il criterio demografico comporterà l’acuirsi del processo di spopolamento dell’”Appennino morente”. Con l’abbandono progressivo dei borghi appenninici si determinerà una accelerazione nell’ineluttabile spostamento e nella sempre maggiore concentrazione delle popolazioni a valle. Da un lato avremo borghi spopolati e dall’altra maggiore richiesta abitativa. Un assurdo in termini di gestione del territorio.
Non so se farà bene al paese di assecondare questo processo migratorio, sia da un punto di vista dell’uso del suolo che per l’equilibrata gestione dell’assetto idrogeologico. Abbandonare le aree interne e la montagna comporterà inoltre maggiori rischi per le aree sottostanti e maggiori costi di prevenzione e salvaguardia territoriale.
Lecito attendersi un ripensamento da parte dei prossimi governi ed una rilettura di una riforma fin qui molto discussa. Ho seguito con molto interesse le dichiarazioni di chi considerando innaturale l’unione prefigurata, prefigura un’implosione della provincia reatina, e si prepara a migrare in altre regioni.
La ipotizzata trasmigrazione ad altra Regione dei Comuni di confine (Cicolano per l’Abruzzo, Montepiano per l’Umbria, Alto Velino diviso tra Marche ed Abruzzo) non credo che avrà l’effetto di cambiare il destino di area marginale. Spostando semplicemente il confine politico di una regione o di una provincia difficilmente potrà determinerà il cambiamento di sorte dei Comuni o delle politiche a servizio delle rispettive popolazioni. Non è secondario, infatti, il tempo di crisi in cui cade questa scelta, con forte contrazione della spesa.
La stessa promozione di un comitato referendario, in grado di catalizzare l’attenzione della opinione pubblica non solo reatina, si troverà a superare gli ostacoli delle complesse procedure previste dalla legge ed anche quelli causati dall’approdo in una regione che a norma dell’art.133 della costituzione potrebbe essere essa stessa oggetto di riordino, non possedendo il requisiti minimale del milione di abitanti ed essendo ormai costituita da una provincia coincidente con il territorio regionale.
In tutti i casi mi pare che la risposta, “andarsene altrove”, non sia adeguata alla domanda che il momento pone. Una cosa, invece, potrebbe contribuire a rendere i comuni adeguatamente forti di fronte alla richiesta di semplificazione e di competizione territoriale. Il punto debole del nostro territorio provinciale è evidente; sta nella estrema frammentazione e nella presenza di comuni molto piccoli e non più in grado di assolvere adeguatamente i compiti assegnati. Il loro ruolo sarà ancor più residuale, fino all’ininfluenza, nel contesto provinciale che si profila o in qualunque altro che non sia quello attuale, con ricadute in termini di declino facilmente intuibili.
Diversa invece mi parrebbe la condizione di questo territorio se fosse diviso in 10-15 comuni anziché 73. I media hanno dato notizia che 7 comuni della Valsamoggia in Emilia hanno deciso di fondersi in un unico comune. I consigli comunali hanno già deliberato ed ora saranno le popolazioni a pronunciarsi con un referendum. Se i cittadini dimostreranno di credere nel progetto si costituirà un comune di oltre 30.000 abitanti e di oltre 178 kmq., uno dei più grandi della provincia di Bologna con capacità d’interlocuzione ben diversa da quella attuale.
Penso che questa sia la vera sfida che ci si pone di fronte al cospetto dell’azione di riordino provinciale, e solo una adeguata risposta potrà assicurare diverso destino alle comunità locali. Qui o altrove.