“Abbiamo gridato forte e chiaro a tutta Italia che noi terremotati esistiamo, resistiamo e non abbiamo nessuna intenzione di alzare bandiera bianca e abbandonare le nostre montagne e i nostri borghi, che sono il cuore dell’Italia.
Ringraziamo le tante testate giornalistiche nazionali e locali per aver offerto un megafono alla nostra rabbia e alle rivendicazioni che da due anni e nove mesi chiediamo a governi e regioni: tutte proposte sostenibili, di buon senso, emerse dal confronto quotidiano e dalla partecipazione popolare.
Dopo quasi tre anni e tre governi la situazione è pressochè invariata. Macerie ancora in gran parte al loro posto, la ricostruzione al palo, livelli di disoccupazione di gran lunga superiori alle medie regionali, popolazione residente più che dimezzata.
Non è la prima volta che manifestiamo, che partecipano a tavoli istituzionali, che proponiamo soluzioni ed emendamenti e, nonostante tutto, non si intravede nessun cambiamento.
Per una ricostruzione veloce bisogna partire dall’impianto normativo: infatti l’attuale è inadeguato ed il susseguirsi di norme che spesso si contraddicono tra di loro, fa si che la macchina burocratica si inceppi. Cambiare l’impianto della normativa, con un quadro di regole certe che sburocratizzi la ricostruzione, è indispensabile.
Ma questa rivoluzione normativa deve necessariamente essere supportata da un numero adeguato di tecnici ed addetti, di personale qualificato in grado di smaltire le decine di migliaia di pratiche che giacciono sulle scrivanie degli uffici. Le attuali strutture non riescono a visionare e ad evadere i progetti finora presentati e si stima, per questo, un tempo tecnico di circa vent’anni.
E se da un lato occorre avviare ed accelerare le procedure per la ricostruzione degli edifici, dall’altro bisogna pensare alla “ricostruzione” sociale, della vita delle persone a partire dal lavoro. Una ricostruzione lentissima unita alla mancanza di lavoro, vorrà dire avere, tra qualche decennio, case ricostruite per famiglie che si sono rifatte una vita altrove.
Urgono norme speciali che facciano ripartire l’economia in una fase transitoria, che ridiano dignità agli abitanti di queste terre martoriate.
Tra le proposte del Coordinamento dei Comitati: l’istituzione di una vera zona franca, di investimenti e sgravi di medio e lungo periodo per le imprese locali e sopratutto per le aziende agricole e le aziende artigiane. L’istituzione di un reddito di cratere che superi l’impianto del cosiddetto reddito di cittadinanza e del contributo di autonoma sistemazione. Quest’ultimo, infatti, risulta ad oggi una misura iniqua in quanto elargito a tutte le famiglie aventi diritto, allo stesso modo, senza tenere conto del reddito delle famiglie stesse.
Gran parte del lavoro potrebbe provenire dalla ricostruzione stessa permettendo alle imprese artigiane del territorio di intervenire. Il coinvolgimento delle imprese e dei cittadini nel più grande cantiere d’Europa, significherebbe un maggiore controllo dei processi da parte degli abitanti ed un minore rischio di infiltrazioni mafiose.
La partecipazione, presente nelle norme generali, non viene esplicitata da decreti attuativi. Il coinvolgimento nel processo di ricostruzione dovrebbe riguardare tutti i cittadini del cratere e non solo sindaci e figure istituzionali.
La trasparenza e la partecipazione sono elementi chiave per una efficace rapida ricostruzione.
Il decreto “sblocca cantieri”, inoltre, non solo non contiene nulla di realmente innovativo, riporta norme sulle delocalizzazione che incentivano allo spopolamento. Inoltre un’area geografica grande, ricca di diversità e con danni riportati che variano da paese a paese, chiede da tempo una differenziazione dei territori a seguito dei danni riportati e delle caratteristiche del luogo.
La battaglia dei terremotati del centro Italia deve essere anche la battaglia di tutti i cittadini italiani perchè casa, lavoro e dignità devono essere garantiti a chiunque e perchè l’Appennino è un tesoro da preservare e vivere.”
Così in una nota il Coordinamento Terremoto Centro Italia.