Don Ciotti ad Accumoli, Amatrice e Cittareale: La politica si dia una mossa, basta false speranze

«Visita? No, non è affatto una visita. Visita è una parola che sa di clamore, di attrattiva: il mio voleva essere piuttosto un incontro, vissuto in silenzio, in ascolto delle persone».

Don Luigi Ciotti, prete antimafia, «ma sono contrario alle etichette», da anni è sotto scorta per le sue scomode denunce a favore della legalità. Oggi, è voluto andare nei luoghi minati dal sisma del 2016, e lo ha fatto senza clamori, sottotono, com’è nel suo stile di basso profilo.

«Ciao, sono don Luigi» dice a chi gli da’ del lei conoscendolo per la fama che lo annovera tra gli uomini più a rischio d’Italia. Per tutti un sorriso, una carezza, l’ascolto, con i poliziotti sempre a un passo.

Nessuno sapeva della visita privata a parte il vescovo Domenico Pompili, suo grande amico, «al quale rinnovo sempre la stima e la vicinanza per ciò che la sua Diocesi sta vivendo da quasi tre anni». Don Ciotti si è recato ad Accumoli, poi ad Amatrice, poi a Cittareale.

Ha incontrato i sindaci, ma soprattutto ha voluto sentire «le percezioni delle persone», incontrarle, parlarci, «guardarle negli occhi». «Cosa mi hanno detto? Cosa piuttosto non mi hanno detto. Non sempre si parla, ma le cose si comprendono dai loro sguardi, dalle loro strette di mano. Percepisci la loro sofferenza, ma percepisci anche le loro illusioni, le loro false speranze, quelle che la politica ha dato loro, senza mantenerle ancora». Alza la voce don Luigi Ciotti, si infervora, si appassiona a ciò in cui crede, e ci crede con tutto se stesso.

«Queste persone si portano dietro enormi ferite, inferte dalle perdite delle persone care, delle case, del lavoro, dei riferimenti. Se si prosegue con questa stasi queste ferite rischiano di non sanarsi, ma anzi di riaprirsi continuamente: la politica seve impegnarsi con volontà, chiarezza e trasparenza, per non annullare ulteriormente la dignità e le speranze di queste popolazioni». Non è mancata una visita alle scuole superiori di Amatrice, in mezzo a quei ragazzi che sono la sua platea preferita, e l’humus in cui gettare il seme per la legalità, l’uguaglianza, la giustizia sociale.

«Sì, la giustizia sociale, quella fatta dalla vita delle persone! Occorre trovare i mezzi per fare in modo che la legalità si trasformi in giustizia sociale, perchè la legalità è uno strumento, è il fine, non il mezzo per raggiungere quest’obiettivo».
Non mancano le stoccate alla politica, alla burocrazia, al sistema troppo cavilloso che si inceppa e impedisce i processi di ricostruzione. «La politica non deve dimenticare la parola urgente, si deve dare una mossa, i tempi non si possono allungare ma si devono necessariamente accorciare, non si può prolungare l’agonia di queste persone che non hanno certo bisogno di illusioni in questo momento, ma di certezze!»

Don Luigi Ciotti risale nella macchina blindata che lo protegge. Tutte le mafie lo vogliono morto, perfino Totò Riina ordinò dal carcere la sua esecuzione paragonandolo a don Pino Puglisi, e augurandogli la stessa fine. Lui non si scompone, si ritiene comunque «un privilegiato», per la possibilità di continuare a spendere le proprie energie per scuotere le coscienze, «perché si allarghi il noi, ciò che è vitale e fondamentale per la società».

Gira in lungo e largo l’Italia, senza paura di mescolarsi in mezzo alla folla, per gridare a tutti, soprattutto ai giovani, la necessità di giustizia e legalità che c’e nel nostro Paese. Un ultimo sguardo alla desolazione, al vuoto dove prima c’erano case, e vite. «Vado via ma non vado via, resto con il tempo e con il cuore, e continuerò a fare da pungolo perchè le speranze di queste persone non vengano ancora alimentate a vuoto».

FONTE: Frontierarieti.com