Marco Salvatori ha stabilito il nuovo record di quota di Rieti e provincia, con la spedizione alpinistica in Himalaya alla quale ha recentemente partecipato raggiungendo la quota di 7.800 metri. Mancavano solamente 300 metri alla vetta – dichiara Marco Salvatori – ma il rischio di morire mi ha fatto ragionare e tornare indietro con gravi congelamenti a piedi e mani.
A Settembre 2012 sarà di nuovo in partenza per l’Himalaya per confrontarsi nuovamente con il Manaslu, ma questa volta scendendo con gli sci, una prova riuscita a pochissimi fino ad ora.
Riportiamo integralmente la relazione dell’alpinista:
Ore 6:00 am. Sono a 7600 m sul versante nord est del monte Manaslu. Sono quattro ore che camminiamo verso la Vetta dell’ottava montagna più alta del Mondo, 8163 m. Il vento non ha mai cessato di soffiare da quando siamo usciti dalle nostre tende a Campo III (7300 m) e la temperatura continua ad oscillare tra -28° e -30°, ma il mio corpo con questi venti di jet stream ne percepisce almeno -65°. Procediamo di circa 100 metri ogni ora.
Mentre cammino ed affronto le difficoltà dell’alta quota mi tornano alle mente i momenti di allenamento sul Terminillo. Quasi ogni giorno negli ultimi mesi partivo da Lisciano ed arrivavo in Vetta al Terminillo con passo deciso in poco più di due ore. In quegli istanti immaginavo quello che avrei vissuto a quote quattro volte superiori alla Vetta che stavo raggiungendo in quel momento.
Ora, quasi ad Ottomila metri, tutto è diverso, difficile, inimmaginabile. Qui non si dorme, non si mangia e non si cammina senza soffrire. La mente si adatta ed il corpo le sta dietro con molta difficoltà. Il mio motore è la determinazione di raggiungere un risultato per anni ricercato da molti altri alpinisti reatini prima di me. La sfida è in primis con me stesso.
Siamo partiti il 5 settembre dall’Italia verso Kathmandu. Torno qui dopo un anno esatto dalla mia precedente spedizione in Himalaya. Tutto è come lo ricordavo. Il trekking di avvicinamento al Manaslu però è differente da quello che avevo già affrontato. Posti nuovi, popolazioni differenti ed obiettivi molto più ambizioni: sto per affrontare il mio primo Ottomila!
Il capo di questa spedizione è Silvio “Gnaro” Mondinelli, noto alpinista ad aver scalato, dopo Messner, tutti i quattordici Ottomila senza l’ausilio dell’ossigeno. Con noi ci sono anche Juanito Oiarzabal, alpinista spagnolo famoso per la sua folle idea di scalare per la seconda volta tutti i quattordici Ottomila (è arrivato a 25!), Alberto Magliano, con la sua enorme esperienza è il secondo italiano ad aver scalato le Seven Summit, Enrico Dalla Rosa, manager di “Gnaro” e alpinista per passione, Simone Botta, alpinista di Alagna che dal basso dei suoi 36 anni ha già scalato tre Ottomila senza ossigeno ed è al secondo tentativo sul Manaslu dopo essersi fermato nel 2009 a 7600m, e Davide Chiesa, alpinista anche lui al suo primo Ottomila.
Ore 7:00 am. Sono a quota 7800 mt a pochi metri da “Gnaro” che procede per primo con il suo passo rapido e deciso. Ormai sono cinque ore che cammino e da poco il sole è sorto, ma non su questo versante della montagna, ed il freddo mi ha colpito e non riesco a liberarmene. La mente cerca di pensare ad altro, guardo verso la Vetta, ma la realtà è che ho perso completamente la sensibilità a mani e piedi ed il congelamento avanza. Dalle dita dei piedi è salito fino alle ginocchia. Inizio ad aver paura. Il vento non smette di soffiare e maledico l’errore madornale del nostro fidato metereologo, che sosteneva che oggi, 5 ottobre 2011, sarebbe stata una giornata perfetta e senza vento per attaccare la Vetta del Manaslu.
Guardo dritto davanti a me, vedo la Vetta. Mancano 300 metri e si vede il sole salire dietro il versante nord est, ma i miei piedi e le mie mani gridano tregua. Forse in questo momento maledico anche la mia scelta di non aver usato l’ossigeno per questa salita, soprattutto perché quasi tutti intorno a me ne fanno gran uso. Salire con l’ossigeno mi avrebbe evitato gran parte della sofferenza e soprattutto i congelamenti, ma rimango fermo sulla mia scelta di voler assaporare ogni sensazione data dall’alta quota: scalare in stile puro, come ho sempre letto in tutti i libri dei più grandi alpinisti, “Gnaro” compreso.
Ore 7:10 am. Sono ancora a 7800 mt fermo e congelato. Sto per prendere la decisione più difficile di quest’esperienza, ma la più saggia. Devo ascoltare il mio corpo e rinunciare alla Vetta se voglio tornare a casa tutto intero. Il congelamento ai piedi ormai sta avanzando rapidamente, ed anche se sono solo 300 metri a separarmi dalla Vetta, in termini di tempo sarebbero almeno tre ore. Scatto poche foto a quella quota, che rappresenta un record per la città di Rieti, e giro le spalle alla Vetta.
Torno rapidamente al Campo Base, tremila metri più in basso, e mi accerto sulle condizioni del congelamento dei miei piedi. Mentre mi chiedo se la scelta di tornare indietro sia stata quella giusta, il medico al Campo Base mi comunica che qualche metro in più sarebbe stato fatale per la sorte delle mie dita dei piedi. Ancora oggi non ho sensibilità alle dita dei piedi, ma sono sempre più convinto che una Vetta, come dice “Gnaro”, non vale nemmeno un’unghia.
Sono arrivato molto in alto con le mie sole forze e grande determinazione. Mi ha fermato un forte freddo non previsto, e questo fa capire che contro la montagna nulla può essere stabilito, neanche le previsioni del tempo fatte da un vero professionista possono essere certezza per chi si avventura su per una di queste “montagnone”.
Torno a casa “intero” ed ancora più determinato a tornate in Himalaya e conquistare nuovamente questa montagna, cercando di portare la città di Rieti sulle Vette più alte del Mondo.