OGNI ANNO L’ITALIA CONTA DAI 450 AI 700MILA CASI DI INFEZIONI OSPEDALIERE CHE COSTANO AL SISTEMA SANITARIO PIÙ DI UN MILIARDO DI EURO L’ANNO.
Le infezioni nosocomiali costituiscono un fenomeno ormai epidemico che riguarda ogni anno circa 700mila pazienti, nell’1% dei casi con esito mortale. L’impatto economico delle infezioni ospedaliere sul Sistema Sanitario Nazionale è superiore a un miliardo di euro l’anno, con un prolungamento della degenza pari al 7,5-10% delle giornate di ricovero.
In occasione della Giornata Europea degli Antibiotici, che si svolge il 18 novembre di ogni anno, Roma è diventata capitale dell’impegno contro le infezioni ospedaliere, ospitando una settimana di convegni e corsi in cui gli specialisti intensivisti, infettivologi e farmacisti ospedalieri si sono riuniti per discutere su come gestire al meglio tutti gli aspetti della problematica, dal lavaggio delle mani all’antibioticoresistenza.
La “settimana focus sulle infezioni ospedaliere”, inaugurata con il progetto INSIDE, evento formativo rivolto agli intensivisti e ospitato presso la Terapia Intensiva e Rianimazione del Policlinico Gemelli, con il Convegno “Ottimizzazione degli antibiotici in ospedale”, promosso da SIFO e SIMIT, che vede concentrati sul tema i farmacisti ospedalieri e gli infettivologi.
Le iniziative della “settimana focus sulle infezioni” sono rese possibili grazie al sostegno di Pfizer, che da sempre rappresenta un punto di riferimento nell’ambito della ricerca e dello sviluppo di nuove soluzioni farmacologiche contro le malattie infettive. Quello delle infezioni ospedaliere è un problema globale che colpisce tutti i sistemi sanitari occidentali e che negli ultimi anni ha raggiunto un livello tale da rendere necessarie delle task force sanitarie per definire protocolli e linee guida che consentano di limitare la diffusione dei batteri nelle strutture ospedaliere.
Oltre ad elementi come l’età del paziente, il suo stato di immunodepressione o la presenza di malattie croniche, incrementano il fenomeno fattori di rischio come il reparto in cui il paziente stesso è ricoverato, il tipo di procedure chirurgiche e sanitarie cui è sottoposto e la durata della degenza.
“Negli Stati Uniti ogni anno si contano 1.7 milioni di casi di infezione nosocomiale e il 15% di questi danno origine a gravi forme di polmoniti. Il dato importante è che il 30% di tutti questi casi potrebbe essere evitato mettendo in atto protocolli di prevenzione
consolidati, tra cui il semplice ma importante lavaggio delle mani, sia per i sanitari che per i pazienti e i visitatori”, spiega il Professor Massimo Antonelli, Dirigente Medico Responsabile di Struttura Complessa di Rianimazione e Terapia Intensiva (U.O.C.) presso il Policlinico Gemelli di Roma.
“L’informazione e il costante aggiornamento sono fondamentali, ragione per la quale chiudiamo il 2011 con una serie di corsi, chiamati INSIDE (acronimo di Incontri e Seminari sulle Infezioni in ICU Dentro l’Esperienza) destinati agli specialisti in Anestesia e Rianimazione per limitare la trasmissione delle infezioni e gestire correttamente l’impiego degli antibiotici che devono contrastare la diffusione dei batteri sia Gram-positivi che Gram-negativi”.
Il rischio di contrarre una nuova patologia entrando in ospedale aumenta con il fenomeno dell’antibioticoresistenza, che ha luogo nel momento in cui, a seguito di terapie antibiotiche errate o mal gestite, si induce nel batterio la capacità di difendersi e sopravvivere al farmaco stesso che dovrebbe debellarlo. Il 16% delle infezioni nosocomiali è causata da batteri ‘resistenti’, il che rende più complesso il trattamento e la guarigione.
“Si tratta di un’emergenza globale”, spiega il Professor Nicola Petrosillo, Direttore dell’U.O.C. Infezioni Sistemiche e dell’Immunodepresso presso l’Istituto Nazionale delle Malattie Infettive L. Spallanzani I.R.C.C.S. di Roma. “Abbiamo utilizzato gli antibiotici in maniera indiscriminata e superficiale e come risultato abbiamo dei batteri che ormai sono immuni al loro utilizzo. Un problema che nasce da diverse cause: a domicilio, se per un’infezione virale viene somministrato un antibiotico ad ampio spettro; nelle residenze sanitarie per anziani, dove gli antibiotici sono usati in soggetti con patologie croniche; e infine negli stessi ospedali, dove è più facile che un batterio patogeno circoli e si diffonda.
Lo Staphylococcus aureus, ad esempio, è diventato resistente alla Meticillina da cui la denominazione specifica di MRSA. È ritenuto responsabile del 40% delle infezioni da batteri resistenti. Esso può diffondersi sia tramite contatto umano che attraverso un dispositivo medico, come un catetere venoso o vescicale, l’uso di un respiratore, una ferita traumatica o chirurgica.
“Il fatto che i batteri siano diventati resistenti fa sì che abbiamo meno farmaci per combatterli, anche perché negli ultimi anni sono state sviluppate poche molecole per fronteggiare l’emergenza (solo due nuove classi di antibiotici negli ultimi trent’anni rispetto a undici nuove classi nei precedenti cinquanta)”, spiega il Dottor Eugenio Ciacco, Responsabile Area Nazionale SIFO Malattie Infettive.
“Per questo è utile che Infettivologi e Farmacisti mettano a punto una politica che sia razionale e ottimizzata e che tenga presente anche il rapporto costo-beneficio delle terapie: si è sempre più pressati dai budget, ma è evidente come l’efficienza di un farmaco risulti primaria rispetto al costo anche di un solo eventuale giorno di degenza”.
“Si tratta di un problema complesso” prosegue Antonelli. “Di fronte ad un ricovero con sintomi di infezione si prende un campione di materiale biologico e lo si invia in laboratorio per un esame colturale (onde identificare il germe responsabile e ottenere l’antibiogramma); nel frattempo, però, occorre curare il paziente per evitare che peggiori. Bisogna pensare che si tratta di malati di tumore, trapiantati, anziani con ricoveri ripetuti o che hanno subito importanti interventi chirurgici.
Il trattamento di prima linea è, quindi, un antibiotico che possa colpire la maggior parte dei patogeni possibili, prescritto in modo ragionato, ma empiricamente. Quando si ottiene il risultato della coltura, è possibile confermare o eventualmente effettuare lo switch verso un farmaco più specifico per quel ceppo batterico”.
Il problema delle infezioni nosocomiali si snoda tra due poli: quello della prevenzione e quello del trattamento. Nel mezzo, intervengono centinaia di fattori per cui è possibile contrarre un’infezione: reparti più a rischio, batteri più aggressivi e pazienti più fragili. In questo complesso sistema, molte sono le cose da fare: ridurre in primis i serbatoi di batteri nelle strutture ospedaliere; migliorare, inoltre, la diagnostica che consente di identificare i batteri stessi; e infine sviluppare nuovi farmaci e imparare a gestire al meglio quelli disponibili.