Lettera aperta ai dirigenti ed agli iscritti del PD

Cari amici e cari compagni,
dieci anni fa abbiamo deciso di mettere insieme le nostre diverse esperienze per dare vita ad un partito del centro sinistra con l’obiettivo di riuscire a governare il Paese e spostare, da quella postazione, l’asse delle scelte economiche, sociali e politiche in difesa delle fasce meno tutelate della società e per ridurre gli squilibri territoriali e le distanze tra ricchezza e povertà.
Aver avuto quest’occasione nel pieno di una crisi devastante e in un paese con un indebitamento tra i più alti al mondo non ha certo facilitato il compito e se la consapevolezza di ciò non ha generato aspettative impossibili, in molti c’era comunque la speranza che si riuscisse ad avviare un reale cambiamento. Quelle speranze, però, sono venute presto meno e tanti hanno cominciato ad estraniarsi dal PD o a cercare nuovi approdi quando sono arrivati i segnali che il governo stava guardando altrove.
La riforma elettorale, quella sulla scuola, il job act, per non parlare della riforma costituzionale, sono state scelte del governo ed è su di esse che si è cominciato a lacerare il rapporto al nostro interno. Una lacerazione accentuata dall’insofferenza del segretario e dei suoi più vicini sostenitori verso chi criticava o dissentiva.
Si può obiettare che quelle scelte sono state decise nelle sedi preposte da una maggioranza larga, ma non si può negare che il partito non ha mai avuto la possibilità di discuterne seriamente al suo interno. Tutti sappiamo che quelle riunioni della direzione sono state solo occasioni di ratifica di quanto proposto dal segretario del partito e capo del governo.
Certo teoricamente erano tutti liberi di approvare o respingere i vari provvedimenti, ma sappiamo anche come al conformismo, indotto da un capo che mal tollera le critiche e il dissenso, si siano aggiunti i voti di fiducia che hanno privato anche il parlamento dall’essere istanza utile per correggere quanto di sbagliato poteva esserci nelle proposte.
Non intendiamo continuare a far polemica, ma registriamo che oggi è il Ministro della Giustizia Orlando, candidato alla segreteria del PD, a condannare una conduzione che ha di fatto usurpato i poteri che sono propri del partito quale intellettuale collettivo. Il fatto stesso che Orlando dica solo oggi queste cose è indicativo del clima instaurato da chi aveva la responsabilità di guidare il PD.
C’è da domandarsi perché il PD, che poteva fare della diversità la sua ragion d’essere rispetto alla lunga stagnazione berlusconiana e all’instaurarsi di partiti comandati da un capo, si sia ridotto a percorrere una strada che avrebbe finito per risolversi nel partito dell’uomo solo al comando. Dove erano allora i tanti Orlando che avrebbero potuto contribuire ad evitare questa deriva e che hanno preferito tacere?
Se quelle scelte, indipendentemente dalle forzature che le hanno imposte, fossero riuscite a far fare qualche passo avanti al paese correggendone l’asse nel senso da noi auspicato, così come se avessero raccolto un consenso diffuso, non sarebbero venute meno le osservazioni sul metodo, ma ci saremmo interrogati autocriticamente per capire se c’erano limiti nelle nostre critiche ed avremmo evitato rotture ma, se è vero che quelle scelte non hanno soddisfatto le attese e non hanno raccolto il consenso sperato nel paese ci saremmo aspettati che se ne prendesse atto da chi le ha imposte traendone le conseguenze evitando cosi una rottura tanto traumatica per tutti o così dannosa per il partito ed il paese.
Siamo coscienti del fatto che, in questo momento, il paese avrebbe bisogno di un forte partito di centro sinistra unito e in grado di raccogliere un vasto consenso, ma l’aver voluto a tutti i costi imporre scelte mal digerite dal paese e una riforma costituzionale sbagliata nel metodo e nel merito, cercando addirittura di farne un plebiscito per il Presidente del Consiglio, ha innescato una reazione che ha colpito in pieno il PD.
Quel risultato doveva imporre una severa autocritica per coglierne fino in fondo il significato e trarne le dovute conseguenze. Esso ha sancito che il divorzio tra il PD e componenti significative di quello che avrebbe dovuto essere il suo insediamento sociale si era ormai consumato e che ad esso si era sommata la scarsissima capacità di attrazione tra le nuove generazioni.
La nostra scelta prende le mosse da quel divorzio con la speranza che possa contribuire a recuperare una parte di quei nostri elettori che si sono estraniati o che hanno cercato altri approdi; ma anche perché riteniamo decisivo operare per intercettare le aspirazioni di quei tanti giovani che con il loro compatto no al referendum hanno gridata la loro insofferenza.
Un’operazione tutt’altro che facile, ma che intendiamo avviare con il necessario entusiasmo per dare vita ad una nuova formazione che sappia mettere al centro i valori di una sinistra capace di interpretare le complessità dell’oggi e ne persegua il superamento. Una forza tesa a costruire le alleanze sociali e politiche necessarie puntando l’ago della bussola su valori ispirati alla difesa della Costituzione Repubblicana nata dalla resistenza e dei principi in essa contenuti, della libertà e della democrazia, alla tutela dei lavoratori e dei diritti economici, sociali, politici, culturali, alla lotta per ridurre le intollerabili distanze tra ricchezza e povertà e per assicurare la pace in un mondo nel quale l’Europa unita svolga un ruolo attivo per garantire l’equilibrio tra le diverse grandi potenze.
Su questi contenuti riteniamo di poter ricercare il minimo comun denominatore per tenere insieme, in un’eventuale prima aggregazione federativa, il diffuso arcipelago nel quale si continuano ad esprimere le diverse sinistre italiane compresa quella in formazione del “campo largo” di Pisapia. Conosciamo le difficoltà che saremo chiamati a fronteggiare e sappiamo anche che il risultato non sarà scontato, ma sentiamo che è nostro dovere provarci.
Con questa nostra lettera non pretendiamo di ottenere la vostra approvazione per la scelta che abbiamo fatto, né chiedere la condivisione di quanto abbiamo sottoscritto ma di accoglierla comunque quale contributo che auspica per il futuro un comportamento di reciproco rispetto avendo coscienza che i nostri percorsi sono destinati ad incrociarsi sia nella realtà locale che in quella nazionale.
Amici Luciano
Moretti Mabel
Bianchi Armando
Palluzzi Dante
Brenci Loris
Pasquali Dino
Buzzi Ombretta
Proietti Franco
Cardi Edmondo
Renzi Costantino
Cavalli Giorgio
Rosati Domenico
Confessore Giuseppe
Passacantando Anna Maria
D’Angeli Maria Passacantando
Sandro Remo
De Rossi Ercole
Pietripaoli Antonio
Dantonio Luigi
Sacco Nicola
Dionisi Quarto
Scacchi Domenico
Faraglia Francesca
Smordoni Emanuela
Ferroni Sabatino
Spaziani Valter
Galli Sergio
Troiano Maurizio
Galluzzi Alberto
Gasperini Augusta
Gatti Giordano
Gentile Elide
Giocondi Roberto
Gunnella Giocondo
Manzini Alberto
Meschini Giovanni